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Matteo Salvini: l’alibi per il delitto perfetto della ragione, e il vero mendicante di questa società


Perché il consenso nei confronti di Salvini cresce? Perché nel Paese dove il tasso d’ignoranza cresce vertiginosamente uno così o lo ami o lo odi. Quello che dice risulta una manna dal cielo per chi (grazie a campagne mediatiche ad hoc) crede che tutti i mali derivino da immigrazione e Rom, mentre è oltremisura odioso per chi sa o anche solo percepisce che sono solo una caterva di falsità e cattiverie.
Salvini è utile al sistema corrotto italiano, un sistema che per poter mantenere indisturbato i suoi benefici e privilegi ha bisogno di indicare all’opinione pubblica un colpevole che non è certo quello vero – ovvero chi notoriamente occupa posizioni dominanti – ma chi è collocato in una posizione più debole, quindi più facile da colpire e, è il caso di dirlo, affondare: l’immigrato. Ed è utile anche all’Europa per lo stesso motivo. Lo possiamo registrare con l’ascesa di tutti i movimenti fascistoidi.

Salvini, lui stesso pedina del sistema, è necessario affinché il delitto della ragione sia perfetto. È l’alibi esemplare, ineccepibile.
Ma per essere sviluppato quest’alibi ha bisogno di mezzi potenti ed efficaci, quindi in soccorso alla sua concretizzazione ci deve essere un intermediario che incanali l’opinione pubblica su di esso. Rivolgere altrove le attenzioni della massa, anziché sul vero assassino, è la missione dei Media.
In Tv, com’è risaputo ai più, ci va chi incrementa i profitti alzando gli ascolti: quanto più alti sono gli ascolti, tanto più alto è il costo degli spazi pubblicitari. Il palinsesto televisivo italiano non mira a fare informazione di qualità (di spazzatura gronda), ma a fare profitto. Questo non va calcolato solamente per mezzo dei ricavi pubblicitari, ma soprattutto attraverso ciò che il sistema corruttivo ogni anno toglie alle casse dello Stato. Sappiamo come funziona il nostro Paese, delle mafie che lo occupano, e anche quanti sono i miliardi di euro che finiscono nelle loro casse. Ora, l’analisi da fare è molto semplice: s’invitano (negli infiniti e stantii Talk-Show) personaggi che risultano più telegenici, che bucano lo schermo, pertanto catturano l’attenzione dello spettatore; non ha importanza che si discuta dei contenuti, piuttosto incentrare tutto sulle abilità comunicative, che in un contesto dove il tasso d’ignoranza è l’unico ad avere il segno +, un Salvini qualunque pare dire delle verità assolute. Di contro, chi odia i Salvini resta comunque attaccato allo schermo un po’ per masochismo e un po’ per fare il tifo al suo antagonista (messo lì a tal proposito, non certo per la favola della par-condicio). Questo circuito, o recinto, o ring (o zoo), suscita non poche frustrazioni in entrambe le categorie di pubblico, che vedono darsi torto e ragione incessantemente. Accade allora che i più fragili intellettualmente si lascino convincere dalle presunte pressanti verosimiglianze, mendicate o estorte, oppure lascino stare convincendosi a non andare a votare. Ecco, a proposito di mendicanti nullafacenti, quelli veri sono i Salvini, non quelli che stanno per strada. Sono quelli come lui che mendicano da una vita occupando spazi, poltrone che eticamente non meritano. Sono quelli come lui i veri parassiti della società. Sono quelli come lui che lasciano la gente per strada. Sono quelli come lui che uccidono la ragione con una perfezione assoluta.

Yara, Riforme e Mondiali: quando la rivoluzione è un palcoscenico


Se il principale partito italiano, il PD (sic!), è legato a una potenza straniera, l’America, e a una europea, la Germania, che offrono l’esempio di un regime sempre meno edificante, ciò che sorprende non è l’affievolirsi della passione rivoluzionaria, che al contrario viene confezionata e presentata al popolo consumatore di slogan come la più passionale delle rivoluzioni in atto dal dopoguerra ad oggi, ma invece la fedeltà, nonostante tutto, dei restanti (pochi) milioni di elettori al partito che pretende di essere l’unico erede delle speranze rivoluzionarie.

Nella quotidiana e perpetua discussione mediatica, ora su quel provvedimento ora sull’altro, quel che non manca mai sono proprio quegli elementi che rendono la vita politica del Paese immobile, stantia, antipatica, oltre che socialmente molesta, irritante, frustrante. Ci si chiede giornalmente quali sono i motivi che hanno trascinato i cittadini verso una disaffezione cronica nei confronti della realtà sociale e politica senza mai, naturalmente, provare a darsi una risposta definitiva e con questa, da questa, conseguentemente ripartire daccapo rimuovendoli per far sì che le proteste, espresse più che chiaramente col non-voto, siano finalmente ascoltate. Invece, l’imbroglio del 40,8% di elettori che rappresentano un esiguo 23,7% della popolazione elettorale con diritto di voto, viene spacciato ingegnosamente come la maggioranza assoluta del popolo italiano, dalla quale trarre prepotentemente legittimità per appropriarsi indebitamente dei bisogni e delle richieste angosciate di coloro che non ce la fanno più a sopportare questo ridicolo e deleterio gioco psicologico delle parti, dove a chi dice bianco viene contrapposto chi afferma il nero, con un rimpallo di responsabilità infinito, senza mai arrivare a niente, senza mai risolvere niente, se non a garantire l’inattaccabilità e la prosecuzione indisturbata degli affari e delle ambizioni dei singoli attori che prendono parte alla commedia drammatica che è diventata la politica e la società tutta.

Le riforme si fanno in Tv e, si badi bene, non solo negli ormai classici e sempre più avvalorati talk-show, ma anche nelle fiction, nel cinema, nei social, nei blog, nei giornaletti di gossip, durante partite di calcio (i Mondiali in corso sono il palcoscenico per eccellenza dove tutti fanno a gara per dichiararsi ipocritamente parte di una comunità), nei romanzi, nelle manifestazioni di ogni tipo, e in tutto il possibile da spremere e da sfruttare come palcoscenico per presentare ognuno la propria riforma, non in atto, ma rappresentata, appunto. Solo rappresentata. La povera Yara, insieme con tutti i suoi familiari, è vittima 1 milione di volte in questo sporco gioco dei meriti e delle conoscenze forensi, sociologiche e psicologiche dell’assassino che si nasconde nell’abitazione accanto alla tua o fra le quattro mura che si abitano. Una cannibalizzazione degli spazi mediatici e di un protagonismo di competenze (incompetenti e indelicate) che non competono a nessuno al di fuori degli addetti al lavoro specifico del caso specifico, e che purtroppo ha dei precedenti e avrà dei seguiti sempre più esaltati ed esaltanti. E come in ogni circostanza, fatta diventare volutamente di grande impatto mediatico affinché s’intrattengano le attenzioni del pubblico, si deve offrire a quest’ultimo — che subisce — un capro espiatorio, che in questo caso è incarnato dal Ministro Alfano che incastra l’assassino e si prende i meriti, così da condannare implicitamente tutti coloro che hanno pensato si fosse trovato “finalmente” un colpevole, e il presunto assassino stesso, che anche se non fosse lui lo sarà comunque a vita nell’immaginario collettivo. Morale?

Perché ormai è così, dai piani alti, di qualunque settore si tratti, basta dire insistentemente che si sta facendo qualcosa perché questo diventi virale, quindi reale, effettivo, e se qualcuno prova dire che così non è, basta semplicemente ribadire che così invece è, e il gioco del contraddittorio continua indefinitamente, sulla pelle di coloro che di questo genere di intrattenimento mediatico, sponsorizzato e pagato profumatamente dalle aziende che nel frattempo devono vendere i loro prodotti di consumo, ne ha piene le scatole. E che ne ha piene le scatole lo esprime da anni non esercitando il diritto di voto, poiché sa quanto sia diventato inutile, infruttuoso, esercitarlo, forte dei reiterati scandali e corruzioni che ogni giorno la magistratura scoperchia in ogni settore e anfratto della società, ma soprattutto ai piani alti, da dove si “amministra” il Paese.

Dal 2008, anno in cui la crisi economica ha iniziato a fare vittime, il numero dei super-ricchi a livello mondiale è ininterrottamente aumentato: da 8,6 milioni di individui si è passati agli oltre 12 milioni del 2012. Negli Stati Uniti il 10% della popolazione detiene l’85% della ricchezza economica complessiva. C’è un problema di redistribuzione della ricchezza che non può più passare inosservato. Mentre gli animali da palcoscenico, negli interminabili dibattiti, discutono su come affrontare i problemi causati dalla crisi, ma non su quelli che hanno causato quest’ultima, la rivoluzione individualista continua imperturbabile, prepotentemente ostinata sul suo cammino: smantellare lo Stato Sociale per far posto a quei gran geni dei privati, gli stessi che ci hanno impantanato in questo grazioso stato di incoscienza, dove ognuno pensa per sé, nel suo mondo virtuale, ai suoi sogni, desideri, alle sue aspirazioni, che si segregano sempre più nella fantasia, comprensibilmente, non trovando altre valvole di sfogo. E sembra essere proprio questo il futuro che ci attende: mentre fuori, la realtà, con tutti i suoi annessi e connessi, ovvero le socializzazioni, le relazioni, le esperienze, le comunità, eccetera, si va sfaldando sempre più, non resterà altro da fare che aggrapparsi alla costruzione virtuale di essa, sostituendola definitivamente a quella effettiva in carne e ossa, e chissà se poi sarà tanto meglio o tanto peggio. Quel che è certo, è che non sarà mai come la realtà con la quale l’uomo ha sempre fatto i conti. Mi chiedo perciò come possano tornare i conti in una realtà simulata, se in quella in cui noi tutti eravamo abituati a vivere non trovano risultato. E le realtà, si sa, per quanto si faccia fatica ad accettarlo, cozzano sempre l’una con l’altra. Specialmente quando quelle dei paesi vicini, che l’occidente continua a invadere attribuendosene la paternità quando c’è da sfruttare e distruggere, ma ignorandola quando c’è da soccorrere, cercano rifugio nella nostra.

Allora non rimangono che due prospettive per il futuro dell’umanità. La prima è la manna dal cielo: aspettando che la buona fortuna o che altri appianino per noi le difficoltà, e la seconda, quella più probabile e non meno auspicabile, stando ai fatti, è che arrivi il colpo di grazia, cosicché ai costretti a subire le incapacità dei governanti siano abbreviate le sofferenze dell’agonia.

Chissà come sarà il futuro… Nessuno di coloro che dirigono — meglio, fa finta di dirigere — la baracca lo disegnano mai, ma lascia a ognuno di noi la facoltà di idearlo, e non meno idealizzarlo, di modo che tutti possano raggiungerlo senza raggiungerlo o identificarlo mai veramente, collettivamente, come una comunità.

A proposito, non so quanto “Pepe” Mujiha, lo straordinario Presidente dell’Uruguay, non la squadra di calcio, ma lo Stato, segua il calcio; spero quanto me, e allora: forza Uruguay! In tutti i sensi.

Augias, e l’intellettualità tradita


Queste due parole nascono dopo aver visto l’intervista di Daria Bignardi a Corrado Augias nel talk show Le invasioni barbariche.

Questo è un Paese strano. Abbiamo una visione della società totalmente contorta, distorta, distrutta, sradicata dalla ragione, dalla razionalità, dall’onestà. Non siamo più in grado di vedere le cose che ci circondano in maniera chiara, definita, definitiva; siamo esasperati, disorientati da messaggi che si incrociano, che appaiono reciprocamente incompatibili e finalizzati a porre in questione e indebolire la credibilità dell’altro. Oggi più che mai non esiste più una sola verità, un solo modo, una sola formula di vita, una certezza e fiducia in se stessi, e cerchiamo rifugio in chi ci promette chiarezza e ostenta purezza, in chi ci assicura di allontanarci dal dubbio e dall’indecisione. L’incomprensibilità, l’inconcepibilità, la complessità del mondo ci colloca in una posizione di inferiorità inconsapevole, e che inconsapevolmente ci assoggetta a chi ci promette tesori che il mondo stesso sfacciatamente nega. Cerchiamo nel leader, unico e solo, le certezze che da soli non siamo più in grado di comprendere, e tanto meno cercare.
Abbiamo bisogno di autoapprovazione, coscienza a posto, e del conforto di non dover temere di sbagliare e di avere sempre ragione.
Rivolgiamo gli sguardi in direzioni completamente diverse ed evitiamo ogni giorno che passa di guardarci negli occhi, senza renderci conto di essere ammassati sulla stessa barca, sullo stesso gommone in cerca di una terra migliore, ma senza bussola, senza guida, senza una direzione stabilita. Remiamo tutti in modo tutt’altro che coordinato, ma siamo incredibilmente simili per il fatto che nessuno, o quasi, di noi crede di agire nel proprio interesse per difendere i privilegi conquistati o per rivendicare la sua parte di privilegio finora negatagli. Non siamo più una comunità.
Tutti noi sembriamo combattere per giusti valori, universali, assoluti, ma paradossalmente siamo esortati e addestrati a ignorare, nelle nostre attività quotidiane, valori di questo tipo, lasciandoci guidare da persone che hanno progetti incomprensibili, ormai mosse dal solo desiderio di aumentare il valore commerciale della propria immagine, conformi, inquinati profondamente dai modelli che la società dei consumi ci vende; e quel che più mi rattrista e demoralizza, è che lo facciamo in maniera inconsapevole, per rifarmi alle parole di Augias… che ha preso una posizione incomprensibile nella trasmissione “Le invasioni barbariche”. Da intellettuale quale è, mai mi sarei aspettato un’analisi così vuota di contenuti, irriflessiva e carica di sentenze e pregiudizi. Per un attimo mi sono detto: “se Augias si esprime così, forse un problema c’è”. Quando poi, però, è intervenuta la londinese Taiye Selasi, conosciuta dal pubblico come giudice di Masterpiece, il primo talent letterario della televisione, allora ho capito tutto. Intanto associando la figura della Selasi a quella di Augias, in termini di autorevolezza commerciale, si fa assume ancor più credibilità e valore al “talent” da lei co-condotto. Ma queste sono solo mie fantasie. Quel che più mi ha dato il voltastomaco è il silenzio generale che c’è stato, soprattutto di Augias, quando la stessa scrittrice ha ammesso di non saper leggere in italiano, e dichiarato che la versione tradotta in italiano del suo libro non rende totalmente l’idea della versione originale da lei partorita in inglese: «è stata riscritta un’altra storia dalla traduttrice», pur «bellissima», rassicurando il pubblico, e se stessa. Già questo basterebbe a farci comprendere che fare il giudice in un “talent letterario”, sul quale ci sarebbe da discutere molto, in lingua italiana, quando si comprende poco la lingua italiana, è una palese contraddizione, conforme, del resto, alla struttura comunicativa dei media: contraddittoria per costituzione. Tutti hanno taciuto… Augias compreso. Non è stata spesa una parola, una sola, sull’incoerenza dichiarata; ovviamente per motivi puramente commerciali, che come tutti sappiamo hanno la tendenza a scindere dalle ragioni etiche; dalla razionalità stessa. E forse proprio per questo ho avvertito ancor più dolorosamente la mancanza di contenuti e una fastidiosa cacofonia nelle espressioni di Augias.
Siamo immersi nelle sabbie mobili, e ci stiamo ormai affogando.
E il male più grande, caro Auguas, è proprio l’inconsapevolezza. La Tv, il mondo dell’immagine, del commercio stereotipato, è un mondo sempre più lontano dalla realtà: se (e solo se) in passato hanno avuto una qualche relazione, oggi si sono separati definitivamente, e come in tutte le separazioni, quelli che subiscono di più sono sempre i figli: il pubblico; l’opinione pubblica; la ragione; l’onestà.