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Buon 1° Maggio


L’obiettivo, a lungo braccato, di far tornare il lavoratore ad essere merce di scambio a tutti gli effetti, e che sembrava aver raggiunto i massimi risultati con la riforma del mercato del lavoro del Governo Monti, trova oggi la possibilità di nuovi traguardi all’orizzonte grazie al “Jobs Act”. Considerando l’attuale condizione dei lavoratori possiamo attestare che la schiavitù è tornata ad essere di moda: alla luce del sole, ma un po’ nascosta all’ombra del classico mantra «non ci sono alternative». Maggior potere al sistema capitalistico-neoliberista, che lo esercita senza impedimenti concretizzando il totale controllo sul corpo e sull’anima del lavoratore, sostituisce definitivamente la partecipazione dello Stato Sociale che così diventa un surrogato a tutti gli effetti.Un’ulteriore precarizzazione del lavoro ha come conseguenza inevitabile la riduzione dei salari e dei diritti. I costi di produzione si abbasseranno ancora di più, e ad avvantaggiarsene saranno soltanto le grandi cooperative, le multinazionali, i grossi industriali. I piccoli imprenditori, come sappiamo, vivono di professionalità e competenza in determinati settori, non grazie al lavoro dei contratti a tempo determinato che, in aggiunta a quel che si sostiene, favoriscono non solo la compravendita di manodopera nei momenti di maggior produzione, bensì “sempre”. Il totale precariato è un generatore di tensioni che ha conseguenze disastrose sull’autonomia dei lavoratori.

Orientare gli individui alla logica del mercato solo perché “i rapporti economici vanno in quella direzione”, non è certo la scelta migliore per contrastare la disoccupazione dilagante o per creare – anche solo in minima quantità – nuovi posti di lavoro. Anzi, i disoccupati accresceranno ancora di più eludendo scientemente i dati occupazionali: maggior flessibilità non comporta maggior impiego, ma ulteriore precarietà del lavoratore, che potrà essere chiamato per qualche ora alla settimana all’abbisogna risultando “parzialmente occupato”, ossia un “non disoccupato”, gettato così in un limbo da dentro il quale sarà ancora più complicato affermare la propria esistenza sociale.

Come si può pensare che un mercato senza regole o vincoli sia a sua volta in grado di indirizzare nella giusta direzione la vita dei lavoratori quando ha la possibilità di sfruttarli per trarne quanto più profitto possibile? Sappiamo bene quali conseguenze ci hanno riservato la logica dei mercati economici. Il Jobs Act ha pretese che vanno al di là del buon senso, e si prefissa soltanto di agevolare e potenziare la compravendita dei lavoratori da parte delle forze del mercato, facendola diventare a tutti gli effetti una “moderna tratta di essere umani“. La “libera contrattazione” non protegge né salari né diritti, e questo dimostra quanto la politica sia male amministrata e poco equilibrata. Chi potrà più pensare di costruirsi un futuro senza avere quelle basi, quelle certezze sulle quali fino a ieri si è “retto” il nostro modello economico? Sarà ancora meno possibile, tra l’altro, pensare di accendere un mutuo, o chiedere un prestito, per quanto piccolo esso sia. “La regola” fondamentale del Jobs Act recita così: – “Riduzione delle varie forme contrattuali, oltre 40, che hanno prodotto uno spezzatino insostenibile. Processo verso un contratto d’inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti”. Nessuno è in grado di dare un’interpretazione corretta al Jobs Act, infatti già da tempo ormai, come da tradizione italiana, opinionisti e pseudo, giornalisti e pseudo, ai quali è dato incarico di divulgare all’opinione pubblica il disordine, si stanno contendendo il titolo di “peggiore”. Sappiamo bene però, anche in questo caso, quanto l’eccesso di norme poco chiare che disciplinano il nostro sistema (tutto) abbia offuscato con gli anni il corretto svolgimento della macchina dello Stato. Pertanto, «processo verso un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti» lascia spazio alle interpretazioni semantiche più libere da parte dei datori di lavoro. Quali sarebbero le «tutele crescenti»? Chi stabilisce quali sono e in che misura dovranno essere esercitate? Se il contratto di lavoro prevede termini di rapporto ancora più flessibili, su quali criteri si stabilisce l’avanzamento delle citate tutele? Ci sono vincoli contrattuali che riguardano quale dovrebbe essere la soglia di partenza da cui il lavoratore inizierà il suo percorso? Perché se le tutele sono crescenti, può significare soltanto che l’inizio di ogni percorso in una determinata azienda ne sarà privo, o in ogni caso ridotte al minimo, ma in un sistema nel quale la flessibilità è la regola, e la competenza non necessaria alla grossa produzione e distribuzione, basterà semplicemente assumere lavoratori sempre diversi per fare in modo che la partenza sia sempre con le tutele ridotte al minimo. Se maggiori tutele equivalgono a maggiori costi di produzione, il datore di lavoro per contenerli al minimo non dovrà far altro che usufruire delle agevolazioni contrattuali che il governo gli offre. È improbabile che qualcosa possa tornare a vantaggio dei lavoratori giacché i “pregi” delle forme di determinazione del salario non sono misurati in base ai loro effetti, ma alle conseguenze che hanno sui rapporti di potere impliciti nella condizione di lavoro: più produttività, meno costi di produzione, salari più bassi, maggior precarietà, meno diritti al lavoratore, minori possibilità di organizzare il proprio futuro.

Una rivoluzione del mercato del lavoro in mano alle multinazionali.

Felice Festa del Lavoro.
Foto di copertina: “Il quarto stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1901)

L’ignorante insensibile


Ci sono persone che hanno un’insensibilità e un’ignoranza tali da essere inarrivabili.

L’ignoranza non è sinonimo di insensibilità, ma un suo rinforzo. E quando sono insieme tale è la loro forza che non conoscono, giacché non li possono riconoscere, avversari. Avversari che dovrebbero essere proprio ignoranza e insensibilità. E come potrebbero mai identificarli, se quando si guardano allo specchio passano il tempo ad elogiarsi, ad autocelebrarsi, ad applaudirsi, a vantarsi, a dirsi quanto sono capaci nelle loro faccende e nei loro pensieri? Mai una critica che sia una; mai un dubbio. Solo certezze. Certi di essere la qualità migliore che si possa desiderare da se stessi, e anzi, non provate mai a far notare loro quando sbagliano, poiché accettano una critica solo quando questa fa risaltare la supremazia che ritengono di possedere e alla quale in ogni caso vanno ambendo. Provate a dir loro che tutti gli esseri umani hanno pari dignità e pari diritti; lo sottoscriveranno con determinazione, salvo poi aggiungere, con spiccato senso di patriottismo e nazionalismo, ovvero escludendo a priori tutti coloro che non fanno parte della loro Patria, che pur essendo esseri umani, gli “stranieri” (ma solo quelli provenienti da determinati territori) non meritano di essere soccorsi poiché “ci rubano lavoro e case”. Provate a dir loro che la violenza sulle donne è diabolico; faranno i salti mortali per corroborare questa affermazione, salvo poi infischiarsene se tutte le donne che cercano aiuto sulle nostre, loro, e le loro figlie, vengono ripetutamente violentate nei “lontani” Paesi d’origine.

Bene, oggi e sempre, auguro a tutti coloro che si riempiono la bocca della Costituzione italiana, per chissà quale incomprensibile motivo, di non trovarsi mai nella condizione di dover abbandonare questa Patria, che tanto amano e sbandierano come segno distintivo di egemonia razziale, e di non subire mai le torture dalle quali scappano tutti coloro che sbarcano sulle nostre coste.

L’articolo 3 della nostra Costituzione recita così:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Il compito della Repubblica è quello di non alimentare le discriminazioni, e di operare in modo tale che “tutti i popoli” possano raggiungere l’eguaglianza sociale e pari dignità. “Tutti i popoli”, dal momento che oggi nessuno Stato è svincolato dall’altro, e tutti sono legati fra loro per ragioni di ordine economico-commerciale. Quando compriamo un diamante dobbiamo avere la consapevolezza che con quel gesto contribuiamo a far distruggere un territorio e a far sfruttare un bambino, costretto alla schiavitù per sopravvivere. Quando accendiamo un fornello, o i caloriferi, o una lampadina, o facciamo il pieno di benzina, dobbiamo essere consapevoli del fatto che queste comodità devastano interi territori nei “Paesi in via di sviluppo” (un ossimoro), lasciando quei popoli nella miseria e nelle malattie più terribili che si possano immaginare. Una Repubblica che permette tutto ciò non adempie a quanto sancito nella Costituzione, e favorisce il proliferare di un disordine mentale e sociale che appunto non ha niente di ragionevole. Ci sono partiti come la Lega Nord che campano alla luce del sole grazie a questi disordini, e altri che lo fanno subdolamente, ma ognuno di loro è accomunato dal fatto che si guardano bene dallo spiegare le ragioni per le quali questi popoli cercano la salvezza sulle nostre coste. Nessuno di loro mette mai in luce la necessità di cambiare le politiche economiche internazionali, poiché sono i primi ad arricchirsi, attraverso le loro multinazionali, da tali scempi.

Prendete il Governo italiano attuale, e le nomine che sono state appena fatte nelle società dello Stato: sono tutti privati imprenditori, con i loro legali e commercialisti al seguito, che hanno interessi miliardari nei Paesi più poveri della terra. Invito a verificare ogni nomina per avere un’idea degli interessi privati che ognuna ha, al di là delle dichiarazioni che i diretti interessati rilasciano. Ecco, in un clima politico del genere, l'”ignorante insensibile” continuerà a rafforzare l’opinione (“l’opinione infondata”) che ha nei confronti di coloro che sbarcano sulle nostre coste, e i partiti saranno lì pronti per prenderseli a braccetto e ad incrementare i loro sporchi affari sulla pelle di povera gente che non ha colpe, rassicurandoli che prima o poi prenderanno l’estrema decisione di affondarli in mare prima che riescano a raggiungere la nostra tanto amata Patria; perché la “persona umana” citata nella tanto sbandierata Costituzione, secondo loro, è solo quella che abita entro i nostri confini. E solo quella merita il diritto a una vita dignitosa.

Se esiste un Terzo Mondo, quello è presente nella testa di chi crede di avere la supremazia esistenziale; è vivo nelle menti di tutti coloro che al mattino si guardano allo specchio per celebrare se stessi, e non per cercare di comprendere gli altri attraverso sé, e i propri errori.

Beneficenza


Ci sono mali che non si possono curare con latte in polvere e biscotti ad alto valore proteico. Orribili condizioni di vita, malattie, analfabetismo, disgregazione delle famiglie, indebolimento dei legami sociali, mancanza di lavoro e di prospettive nel futuro, sono il risultato di una società che non è più in grado (e forse non lo è mai stata dall’inizio dell’entrata in scena del capitalismo), o non ha volontà, di prendersi cura degli ultimi.
Thomas Paine:
“Quando un qualsiasi paese del mondo potrà dire che i suoi poveri sono contenti e non sono afflitti dall’ignoranza e dall’angoscia; le prigioni sono vuote, e non ci sono mendicanti per le strade; i vecchi non languono e le tasse non sono oppressive…; allora esso potrà farsi vanto della sua costituzione e della sua forma di governo”.
Ryszard Kapuscinski, uno dei più acuti osservatori della vita contemporanea, ricorda di aver attraversato villaggi e ghetti africani incontrando bambini «che non mi chiedevano pane, acqua, cioccolata o giocattoli, ma penne biro, perché andavano a scuola e non potevano prendere appunti».
Io ai carnevali di beneficenza non ci sto. È per me incomprensibile raccogliere milioni di euro senza prendersi neanche la responsabilità di spiegare analiticamente le reali cause di tanta miseria. Raccogliere fondi perché “in fondo grazie ad essi è possibile fare qualcosa”, non è una soluzione, ma un rimandare sempre a domani la soluzione al problema. Arginare non serve a nulla se continuiamo a scaricare inquinanti nel fiume. E il problema è causato dalle multinazionali che depredano quei popoli di un diritto che DEVE avere chiunque abiti questa terra. Le stesse multinazionali che alimentano una società come la nostra, indiscutibilmente fallimentare, immorale ed egoista. Le stesse multinazionali che mettono in piedi questi carnevali mediatici accompagnati immancabilmente da immagini di fronte alle quali anche la coscienza più assopita impallidirebbe e metterebbe mano a residui di moralità rimastagli. Le stesse multinazionali che ci offrono, tra una pubblicità e l’altra, prodotti di consumo che alimentano il degrado e aumentano il numero dei poveri nel mondo. È una presa in giro che non ha precedenti nella storia dell’umanità. Non salviamo nessuno facendo beneficenza. Salviamo solo le nostre coscienze, perché “in fondo ne abbiamo bisogno”. Sappiamo che è il nostro modello di società a causare quelle atrocità, ma siamo talmente distratti da quello che desideriamo che riusciamo senza fatica a fregarcene di chi non ha una vita degna di essere vissuta.
“Un bambino, cento, mille, milioni di bambini ogni anno muoiono di fame… Ma non preoccuparti: adesso c’è la pubblicità. È tutto finito. E se hai versato una lacrima, hai fatto il tuo dovere.”
Abbiamo bisogno di alibi per non guardare in faccia la realtà. La realtà è che questo modello di società ha già fallito: le disuguaglianze si fanno sempre più ampie e profonde, e la povertà aumenta senza sosta in tutto il mondo, e sta diventando sempre più difficile e complesso far fede solo e soltanto alle distrazioni. Continuare dritti per la nostra strada servirà solo a diminuire i pochi metri che ci separano da una catastrofe senza precedenti.