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Dalle politiche economiche internazionali al popolo: siamo tutti forti coi deboli e deboli coi forti


Siamo tutti contro l’Europa tecnocratica e le sue politiche di austerità, ma non sappiamo bene il perché. L’austerità è l’artificio con il quale i tecnocrati europei ed americani hanno imposto al popolo una grave riduzione dei Diritti Umani con conseguenti grandi sofferenze, per risanare i conti mandati in rovina dalla Finanza internazionale, dal Mercato, dal Liberismo (dottrina economica che sostiene la necessità di accrescere le libertà individuali dei cittadini in campo produttivo e commerciale e limitare l’intervento dello Stato). Il mercato opera in base al principio del profitto, ed è il fondamento del nostro attuale sistema economico. Un sistema spietato che opera per convenienza individuale a dispetto della collettività, perché ricordiamoci che lo Stato “è” la collettività, il popolo. Le cause della crisi economica che stiamo attraversando sono note, ma non consapevoli. Ciò significa che tutti, più o meno, sappiamo dell’esistenza di una regia che manipola le sorti dei popoli indirizzandole ai loro perversi voleri, ma non siamo consapevoli delle conseguenze che queste generano. La perversione la si può (o potrebbe) distinguere contrappesando il contesto sociale presente con quello passato. Sono evidenti i fallimenti delle politiche lasciate in mano ai businessmen, eppure questi non bastano ad orientare la rabbia dei popoli (in particolare di quello italiano) nei confronti dei giusti colpevoli (qui ho già spiegato quali sono i principali motivi di tanta fatica).

Il punto è, quindi, che pur di raggiungere indisturbati le loro perverse ambizioni, lorsignori passerebbero (e ci passano) sopra le carcasse determinate da esse.
Le conseguenze di tutto ciò sono povertà, discriminazioni, disuguaglianze, frustrazioni, esasperazione, violenze, aumento delinquenziale, limitazione culturale, esodi di massa, un sistema sociale caotico e schizofrenico che sembra non conoscere intralci. Che continua indisturbato per la sua strada, indicando all’opinione pubblica ora quel colpevole ora quell’altro, con un martellamento quotidiano degno delle peggiori torture cinesi, perché è vero che la goccia spacca la pietra.
Mi rendo conto di scrivere spesso di immigrazione, ma non posso farne a meno. Ogni giorno, ahimé, mi scontro con chi addita l’immigrato come il responsabile dei problemi esistenziali di questa società, e non posso fare quindi altrettanto a meno di provare una viscerale indignazione nei confronti di uno Stato che invece di fare il buon padre e la buona madre lascia che i propri figli si scannino fra di loro. E qui sorge un altro aspetto che purtroppo è sempre più difficile da fissare nelle menti da anni condizionate da chi dice che esistono esseri umani ai quali è concessa la supremazia esistenziale e ad altri no. Dei buoni genitori sanno amare anche i figli degli altri, perché sanno immedesimarsi con indulgenza e umiltà, sentimenti inariditi dal deserto che il profitto lascia dietro di sé.
Per tutti è più facile essere forti coi deboli e deboli coi forti. Esattamente come lo è la Legge del Mercato, e noi ci siamo perfettamente adeguati, prostrati ai suoi princìpi. Perché queste sono le conseguenze logiche di una società così indirizzata. Ecco, se riuscissimo ad uscire da questo groviglio di assurdità, e a puntare il dito verso il solo ed unico colpevole, il vero responsabile del degrado in cui versiamo, anziché su altre vittime come noi, a me potrebbe tranquillamente venire in mente di scrivere d’altro. Sono le politiche Liberiste a rendere schiavi noi e i popoli che emigrano in massa, e fino a quando non lo capiremo saremo i loro burattini e tutta la rabbia e le frustrazioni accumulate le scaricheremo su chi loro ci indicano. 

Se questa è l’Italia…


Soffriamo tutti di un grave disturbo bipolare, di uno sdoppiamento della personalità che in confronto il Dr. Jekyll sembra avere un lieve sbalzo d’umore. Siamo bugiardi, dentro, incalliti, che quando diciamo una bugia sappiamo di dover convincere prima noi stessi per convincere poi gli altri, e sono bugie così vere da essere ormai diventate verità, normalità. Siamo tutti impazziti, da rinchiudere in un manicomio criminale, nessuno escluso, per marcirci dentro a vita. Oggi sì, domani no, poi sì, poi dinuovo no…! Che fine ha fatto la vergogna? E la dignità?

E finalmente si è capito che anche il M5S non è altro che uno specchietto per le allodole, un contenitore dentro il quale rinchiudere ogni forma di protesta che rischiava di sfociare nella violenza, un bottone in più sul telecomando a disposizione — come un placebo — del popolo su cui sintonizzarsi, per chi volesse somatizzare, reprimere e frustrarsi ancor di più per tutto il marciume che nel frattempo la politica italiana ed estera stanno spargendo nelle postazioni di controllo democratico. O in quel che ne è rimasto. È oggi ancor più chiaro che il disegno politico italiano, insieme con quello globale, è di addormentare le ultime coscienze rimaste sveglie, anche le più insonni, per svendere così in libertà quel che è rimasto della cosa pubblica, di proprietà dei cittadini, e lasciar così campo libero all’invasione capitalista neoliberista che sta mietendo vittime ovunque nel mondo. Il M5S dopo le elezioni europee non poteva far altro che gettare la maschera e mostrarsi palesemente per quel che è: un piccolo gruppo di persone intellettualmente corrotte (vedremo a questo punto in seguito se la corruzione si fermerà qui), incapaci di ribellarsi ai “capi”, convinte anch’esse che per governare il tanto sbandierato “popolo” ci sia bisogno di una guida, di un guru che lo indirizzi a suo piacimento (quello dei poteri finanziari) lungo un percorso prestabilito fuori da ogni logica di valore vicina al bene comune, alla con-vivenza, all’uguaglianza dei popoli e ai Diritti di ogni essere umano. Certo che il popolo ha bisogno di una guida, di essere indirizzato, e ci mancherebbe!, ma è mai possibile che questa debba andare sempre nella direzione sbagliata, cinicamente a sfavore di qualcun altro e mai che intraprenda la strada per il bene comune, lontano dalle discriminazioni che si fanno sfacciatamente sempre più profonde? Appannare la riflessione, anziché stimolarne l’uso, sembra essere l’unico scopo che chi conquista un po’ di potere vuole raggiungere.

Non ci si poteva credere, e in molti ci sono cascati dentro con tutta la testa, me compreso, convinti che dall’Italia potesse iniziare a germogliare qualcosa di grande, di meraviglioso, di finalmente onesto in grado di cambiare la concezione sociale del mondo di oggi e di esportarlo altrove. Siamo (eravamo?) l’Italia, abbiamo fatto la storia dell’uomo, non sarebbe stata poi tanto campata in aria come prospettiva. E invece eccolo lì, il M5S. Da sempre contro ogni forma di condizionamento mediatico delle coscienze, delle opinioni, almeno a parole, e poi grande manovratore di consensi quando si tratta di fare alleanze con partiti xenofobi-razzisti che non guardano in faccia nessuno se si devono salvaguardare i propri confini a danno di coloro che ne sono fuori. Da sempre schierato in difesa dei Diritti Umani, paladino della Giustizia e degli Ultimi, quelli lasciati nell’oblio dai media e quindi dallo Stato, il M5S non ci pensa due volte a organizzare alleanze con chi quei Diritti, quegli Ultimi, preferisce lasciarli lontani dal cuore, e anzi si diverte cinicamente a schernirli e a ricordargli quanta poca considerazione ha di essi e quanto poco contino in una società allo sbaraglio come questa, intento, come altri, nel perseguire un modello economico-sociale fondato e fossilizzato sul profitto e sullo sfruttamento delle risorse materiali e umane a discapito di quelle popolazione che a causa di ciò vengono lasciati in miseria. Il M5S era (avrebbe dovuto essere) quella compagine di cittadini che si dichiarava lontana dalle logiche mediatiche del consenso, dal marketing politico, dall’influenza e dalle limitazioni di scelta, salvo poi escludere a priori i Verdi dalle “votazioni online”, dichiaratamente indirizzate a colpi di post pro-Farage, scelto anticipatamente dai sempre più ingombranti e incomprensibilmente — fino a prima delle elezioni europee — confusionari Grillo e Casaleggio come l’unico con il quale fare alleanza. Sdegnare fino al giorno prima le nomine fatte dai partiti e poi nominare spudoratamente un personaggio come Farage elevandolo a “bene assoluto” è stata la mossa più ridicola che il Movimento potesse immaginare di fare per venire allo scoperto. Le alternative, che prima delle elezioni europee sembravano essere la vera bandiera dei 5Stelle, si sono ridotte così anch’esse al classico “non ci sono alternative” come da tradizione thatcheriana, la stessa in cui del resto è cresciuto e si è formato Farage (e da cui tutto il sistema politico occidentale attuale ha preso spunto), l’etichettato “simpatico signore” da Grillo. Il M5S è dunque un altro partito, l’ennesimo, né peggio né meglio di altri, con la evidente funzione sociale di incanalare le frustrazioni del popolo per fare da “rete” di sicurezza, come quelle che nei circhi stanno sotto ai trapezisti e ai funamboli pronte a salvare non solo chi ha paura di cadere, chi ancora crede ci possa essere qualcosa di buono, “sotto”, verso cui riporre fiducia e speranze così da continuare a rischiare, che tanto, mal che vada, c’è la Rete, ma anche per lasciare pressoché indisturbati chi da “lassù” rischia con la nostra pelle, lasciando al popolo, o a una parte di esso, la falsa speranza di una salvezza dal quel marciume che ci impregna fin nel DNA. Quella “Rete”, metafora mai così azzeccata, che appunto finge (nota bene: non “funge”) da protezione, ma che in realtà scientemente accoglie tutti coloro che conservano — o credono di conservare — un senso critico, autonomo, immune dalle dipendenze del pensiero autoritario, assolutistico, egemone, ipocritamente autarchico, per indirizzarli, una volta di più, come se non bastasse quello che già offre la società, e con maggiore sottigliezza, pertanto con ancor più disprezzo, verso un percorso già segnato, o una fossa già scavata che si fa solo finta di voler ricoprire. Un perfetto gioco delle parti, dove il poliziotto buono, a seconda dei punti di vista, diventa il poliziotto cattivo e viceversa, cosicché chi si trova in mezzo è costretto a subire, suo malgrado, le falsità che si rimpallano e che gli vengono scaricate addosso.

Siamo ormai alla pura follia. In un paese “normale”, la psichiatria avrebbe di che occuparsi 28 ore al giorno della nostra classe dirigente anziché degli omicidi efferati che ogni dì ci frantumano quei due neuroni rimastici. Altro che riempire talk-show di politicanti, pseudo-filosofi, politologi, opinionisti, giornalisti e compagnia cantante; farei riempire gli studi televisivi di scienziati per analizzare la classe dirigente italiana, tutta. Siamo al festival dei ripensamenti, al Sanremo delle bugie, ai Nobel per la sfrontatezza. Come diavolo fai a fidarti di gente così? Va bene pensarla diversamente, è giusto avere preferenze politiche, ideali diversi, eccetera, bla bla bla, ma qui c’è qualcosa che non va… Qui sta accadendo qualcosa di seriamente inquietante.

Se questa è l’Italia, quella degli omicidi efferati, dei plastici di Porta a Porta, dei corrotti e corruttori, degli sprechi, degli appalti ai soliti noti, delle emergenze, delle grandi opere infinite dai costi infiniti, dei politici latitanti e di quelli che li aiutano a latitare, delle stragi irrisolte, dei mafiosi alla guida di grandi partiti nazionali che decidono le sorti del Paese e della Costituzione, dei Comuni sciolti per mafia, del Presidente della Repubblica al secondo mandato, delle slide, di quelli che dicono che le elezioni europee non sono un referendum sul Governo ma che poi il 40,8% legittima a eliminare il minimo cenno di dissenso come nelle peggiori dittature, degli 80€ che a forza di ripeterli vogliono diventare 800, delle nuove tasse aggiunte in silenzio, dei brogli elettorali sì, brogli no e degli ebetini manovrati dai poteri finanziari con cui mai e poi mai dialogare ma che poi due chiacchiere forse è meglio farcele, dei regali ai signori del gioco d’azzardo, degli interminabili e inconcludenti talk-show, della politica mediatica, dei giornali di partito indebitati, dei giornalisti indebitati coi partiti, dei razzisti leghisti, dei nazisti di Forza Nuova, dei diti medi dei Fassino, delle Santanché, dei Gasparri, di Equitalia, dei senza tetto per pignoramento costretti a dormire in macchina o sotto i ponti, delle famiglie sfrattate dagli alloggi occupati abusivamente senza pensare a una loro sistemazione dopo, delle migliaia di imprese fallite al mese, dei suicidi, delle banche usuraie, dei favori alle banche, dei centri di accoglienza stracolmi, delle carceri al collasso, della Sanità pubblica distrutta e sempre più indebitata, delle scuole che cadono a pezzi, dei bambini delle elementari che ripongo, cantando canzoncine, il loro “futuro nelle mani dell’amato Presidente”, delle alluvioni che bloccano intere città e distruggono interi paesi, delle frane, dei terremotati eternamente senza casa e dei moduli abitativi lasciati marcire in emarginazione, delle “baby prostitute” e delle igieniste dentali, dei marò che sono sempre in India e che presto torneranno in Italia e chissenefrega dei poveri pescatori indiani uccisi e delle loro famiglie che avrebbero pur diritto, anche loro, a conoscere chi e perché li ha uccisi (fossero stati italiani?); se questa è l’Italia… delle partite di calcio decise a tavolino, dei tifosi che si ammazzano e dei “Jenny ‘a Carogna” che sedano le rivolte, dei G8 di Genova, dei Cucchi, degli Uva e degli “Speziale libero”, dei preti pedofili, dei fondi neri dello IOR, delle maestre degli asili nido che picchiano i bambini, dei centri di Igiene mentale dove i pazienti vengono picchiati, delle discariche abusive, delle fabbriche inquinanti, dei morti per tumore a causa dell’inquinamento e dei morti per un lavoro che non garantisce sicurezza, dei senza lavoro, dei senza diritti, delle pensioni d’oro e di quelle da fame, dei tagli alla cultura, dei cervelli in fuga, degli oroscopi di Branco e di Paolo Fox, delle D’Urso che si dichiarano giornaliste e delle De Filippi che si ergono a “welfare”, dei tweet prematuri del ministro Alfano e di quelli sempre puntuali del presidente del Consiglio Renzi, del tutti contro tutti, che tanto nessuno ci capisce più un emerito nulla… se questa è l’Italia, allora siamo fritti.

Lista Tsipras, Verdi e Movimento 5 Stelle per cambiare l’Europa


Ritenere che l’Euro sia la causa dei nostri mali è come pensare che gli psicologi siano i responsabili dell’aumento delle psicopatie, oppure che la colpa dei vasi rotti sia dell’Attack, o che la musica dipenda tutta dal pianoforte. Non è che se si eliminano i pianoforti poi la musica cambia o finisce: si cambia strumento, ma non la melodia sul pentagramma. Si capisce che non sta in piedi.
L’Euro è soltanto uno strumento, un mezzo per il raggiungimento di uno scopo, ma non la causa; tuttalpiù un contributo. Togli l’euro ma non toglierai il fine. Togli l’euro e si impiegheranno altri strumenti, senza incidere radicalmente sui fini. I fini sono il completo controllo dei mercati finanziari e delle Pubbliche amministrazioni da parte dei privati intenti a soddisfare i loro appetiti infiniti; sono il completo controllo delle coscienze degli individui, delle loro scelte, dei loro bisogni, dei loro pensieri, del loro stile di vita. Dal governo Monti in poi, i tagli al welfare, il decadimento crescente dell’istruzione pubblica, l’assenza di politiche di socializzazione, di integrazione, avrebbero dovuto farci riflettere seriamente.

Non è tagliando all’istruzione che si risolve una crisi, in compenso, però, si alimenta l’inconsapevolezza e conseguentemente la capacità decisionale.

Sono le politiche economiche, scientemente decise e imposte da un potere sovranazionale cui i governi democratici si assoggettano, la causa dei nostri mali. Dobbiamo riprendere il controllo democratico delle nostre decisioni, il contatto con la natura delle cose, e istituire massicciamente gruppi di consapevolezza, e non dobbiamo desiderarlo a livello nazionale, ma globale, giacché pensare di rinchiudersi in casa mentre fuori dalle quattro mura (sicure?) tutto affonda, non ci salverà dall’essere risucchiati. È impossibile pensare di isolarsi in un bunker, anche solo considerando la nostra posizione geografica, che non possiamo certo spostare.

Ben venga quindi la consapevolezza.

Il nostro attuale governo formato dall’asse Renzi-Alfano-Berlusconi è, oltre che incapace e improduttivo, intento solo nel realizzare un disegno organico, estremamente miope e precario, ovvero quello di liquidare la Costituzione italiana e lo Stato di diritto, insieme alla rappresentanza politica dei cittadini e quanto resta dei diritti dei lavoratori. Senza contare l’inefficacia delle leggine esposte in vetrina atte a contrastare l’imponente e sempre più dilagante corruzione endemica italiana.

Oggi siamo difronte a una classe politica privata di ogni capacità di indirizzo dell’economia per effetto dello spostamento del potere reale verso i centri di potere finanziario. Si continuano ad operare sconsiderate privatizzazioni (vedi le Poste) e a promuovere grandi opere inutili, come la Tav, e altri grandi eventi come Expo 2015 sperperando miliardi e costringendo alla schiavitù con lavori non retribuiti ed estremamente precari milioni di persone – sotto questo profilo il caso Expo è esemplare – in tutta Europa, dove ci sono un totale di 27 milioni di disoccupati.

Dare un futuro all’umanità significa aumentare gli strumenti democratici (vedi referendum in Svizzera) e potenziare il welfare, significa liberarci di questa tecnocrazia neoliberista incapace, vorace, fatta da imprenditori privi di spirito imprenditoriale, che vivono sullo sfruttamento accanito dei lavoratori e dei fondi pubblici, buona solo a creare voragini sociali dentro le quali stanno cadendo pezzi sempre più grossi di Comunità, che non si limita ai confini italiani: una comunità è sempre dentro una comunità più ampia e complessa; nessuna esclude l’altra. Ma la moneta, fondamentalmente, non c’entra nulla.

La classe politica attuale in questa campagna elettorale propone agli spettatori l’ennesima fiction facendo credere a tutti di essere critica nei confronti di quest’Europa, dopo aver assecondato e avallato supinamente e spudoratamente ogni decisione presa a favore della mitologica (poiché il rimpallo di responsabilità fa sembrare sia arrivata da una qualche forza divina) “austerità”. E allora tutti si riscoprono antieuropeisti per cavalcare senza ritegno la – giusta – indignazione contro questa Europa; voluta da loro. E partendo dalla Lega, passando da Forza Italia, Partito Democratico, fino a Fratelli d’Italia, la lista è lunga, oltre che ipocrita.

Lista Tsipras, Verdi e Movimento 5 Stelle – sia pure con qualche contraddizione – rappresentano un’alternativa radicale a questa Europa scellerata e corrotta, anche solo considerando il fatto che nessuna di esse si è resa complice del degrado in cui ci troviamo. Al loro interno contengono personalità estremamente competenti ed oneste, e sono più che certo sapranno rappresentare meglio di altri il bene comune.

I popoli europei non devono arrendersi alla subalternità della finanza parassitaria. Il 25 maggio dobbiamo svoltare pagina e scrollarci di dosso qualsiasi cosa che possa “fermentare”, che abbia in sé il rischio, la potenzialità, di corrompersi e corromperci, disconoscendo proprio ciò che la corruzione ri-conosce; ma un paio di questioni su tute devono essere ben chiare:
1. L’imprenditoria DEVE rimanere fuori dalla gestione dello Stato sociale;
2. L’Euro non è né la causa né la soluzione dei nostri problemi: semplicemente è un argomento utile a cavalcare opportunisticamente inconsapevolezza e indignazione diffuse con il solo scopo di raccogliere voti continuando così a lasciare le questioni di fondo come e dove stanno.
Ponderiamo bene le nostre scelte, e facciamolo su una base di buon senso, per un bene comune, fuori dagli schemi dei grafici economici che nulla hanno a che vedere con esso.

Sono gli “immigrati” a privarci di lavoro, case e sussidi?


Capisco la rabbia e il significato di quel che si vuole esprimere quando affermiamo che “gli immigrati ci rubano lavoro, case e sussidi”, ma detta così è fuorviante, ed è una forma razzista di esprimersi, poiché al sostantivo “immigrato” è stato attribuito nel tempo un significato dispregiativo giacché sovente associato a termini come “rubare”, “lavoro”, “casa” e “sussidi”, ossia a quei costituenti essenziali in una società come la nostra.
Di fatto, quando un microfono si avvicina a un qualsiasi cittadino per chiedergli cosa ne pensa degli immigrati, la risposta “mandata in onda” è prevalentemente la stessa:
«Gli immigrati ci rubano lavoro, case e sussidi!» – aggiungendo, generalmente – «Io non sono razzista, ma non è giusto che si dia aiuto prima a loro mentre noi italiani veniamo lasciati per ultimi. Che rimangano a casa loro!».
Attraverso questa forma di informazione manipolatoria, deviante, nell’opinione pubblica viene a radicarsi un sentimento di astio, d’invidia nei confronti di chi “viene nel nostro paese a privarci dei nostri diritti”. Allora siamo esortati a propendere verso chi promette di liberarci dal “male che ci invade” e “ci toglie risorse vitali”. Purtroppo è tutto sbagliato. Più propriamente, sono le politiche economiche internazionali (dettate dalle multinazionali), lo sfruttamento delle risorse, a costringere queste persone ad abbandonare i loro paesi d’origine, massacrati da guerre che hanno lo scopo prevalente di aggiudicarsi o difendere tali risorse. Gli immigrati sono in cerca di un riparo da tutto questo, dal momento che non hanno altra possibilità che scegliere fra vivere la tortura della schiavitù, oppure la morte. Non portano con sé ambizioni di conquista, ma gridi dilaniati in cerca d’aiuto. L’aiuto che possiamo dar loro, se vogliamo aiutare anche noi stessi, è quello di comprendere i motivi per i quali sono costretti a fuggire.

Sono le politiche economiche a togliere lavoro, case e sussidi, a tutti, in Italia come in Europa, e in tutto il mondo “occidentalizzato” nel quale è stato esportato (e si sta esportando) questo modello economico-sociale.

Un’essere umano che scappa da una guerra, è ben più disposto ad accettare qualsiasi lavoro, a qualsiasi condizione salariale, pur di sopravvivere. Ciò aiuta ad abbassare i costi di produzione, ad arrivare ad “adattamenti a calare” quando si contrattano i diritti, a far aumentare le disuguaglianze sociali e a diminuire il potere d’acquisto nel suo complesso.
Il sostantivo “immigrato”, diventato ormai un’appellativo dispregiativo, non dovrebbe neppure esser preso in considerazione quando vogliamo esprimere la nostra contrarietà a una situazione complessa e drammatica come quella che stiamo vivendo.

Se pensiamo di risolvere i problemi che ci sovrastano votando partiti di estrema destra alle imminenti elezioni europee, sbagliamo. Innalzare un muro per non vedere né sentire, né sapere, cosa accade al di là, non risolverà niente. Dobbiamo comprendere che i problemi nell’antartico riguardano e condizionano anche l’artico e viceversa. È il modello sociale consumistico nel quale viviamo, ad averci trascinati in questo disordine intellettivo, e che sempre più ci impedisce di razionalizzare il mondo che ci circonda.

Chi promette di “scacciare via gli immigrati”, lo fa sfruttando la nostra ignoranza rispetto a un problema molto più ampio, profondo e complesso. E non sarà un semplice muro che ci esonererà dall’affrontarlo. Il compito di una sana politica dovrebbe esser quello di interpretare nel modo giusto la rabbia della popolazione, anziché cavalcarla per raccogliere voti. Ecco poi dove si arriva.

Euro sì; Euro no: parliamo del niente per risolvere niente


Se un’erbaccia non la si sradica, possiamo potarla tutte le volte che vogliamo: lei rispunterà sempre.

Il problema non è l’Euro, ma la nostra Cultura. Se oggi dovessi fare una campagna elettorale sui manifesti ci scriverei: “Più Cultura per tutti!”
Uscire dalla moneta unica non servirebbe a risolvere problemi che sono di natura “concorrenziale“: determinati dal mercato. Anche se tornassimo alla Lira, non potremmo mai competere con paesi come Cina, India, Africa, Sud America, eccetera, dove i costi di produzione rispetto alla “zona euro” sono infinitamente più bassi. Il problema non è la moneta unica, ma la produzione industriale a basso costo e la libera circolazione delle merci e dei capitali. La gran parte delle aziende delocalizza per andare a spendere meno sui costi di produzione. Tutte le aziende europee, e non solo, stanno delocalizzando o dimezzando il personale, certo non per colpa della moneta unica, che ha sì le sue colpe, ma è l’ultima ruota di un carro lanciato verso il burrone sociale.

La moneta unica è un mezzo a disposizione del fine. Togliendo un mezzo non cancelliamo un fine, poiché chi dispone delle possibilità economiche avrà comunque le condizioni favorevoli per trovare altri mezzi.

La favola che i nostri problemi economici derivino dall’Euro è una emerita arma di distrazione di massa che serve a far distogliere lo sguardo dell’opinione pubblica dal vero problema: la concorrenza. Il vero problema è la libera circolazione delle merci e dei capitali finanziari.

L’unica soluzione sarebbe quella di bloccare le importazioni e le esportazioni “in eccesso” (che sono tante), non indispensabili. Regolamentarle severamente, e seriamente, è l’unica soluzione che abbiamo. Una lenta e graduale riduzione delle importazioni e delle esportazioni, ad esempio alimentari, rispettando tutti i termini delle contrattazioni con le varie aziende produttrici, farebbe aumentare la domanda interna risollevando in un attimo l’economia di ogni Paese. Ad esempio, compriamo le patate fuori dall’Italia? Bene, ci sarà un contratto con l’azienda produttrice; rispettiamo quel contratto fino a scadenza e dopo non lo rinnoviamo. Le aziende agricole italiane se ne gioverebbero: aumenterebbero la produzione e la forza lavoro. Ma possiamo citare le arance, i legumi, i cereali, le carni, eccetera. I McDonald’s ne risentirebbero? Poco male. Dove chiude un McDonald apre McItaly dove si vendono soltanto hamburger nostrani e di qualità ai prezzi dettati dal potere d’acquisto interno, se proprio non ne possiamo fare a meno. E se invece possiamo farne a meno, allora lo sostituiamo con un negozio di alimentari come quelli d’una volta che stavano sotto casa, e che magari con due fette di pane fresco, fatto con soli ingredienti italiani, e due fette di un buon prosciutto crudo, fatto in allevamenti italiani, dà più soddisfazione di un panino fatto di plastica insaporita con gli antibiotici. Certo, dovrebbero farlo tutti i Paesi, ma questo è l’unico rimedio.

Se ogni nazione provvedesse a soddisfare gran parte del fabbisogno interno con le proprie risorse, l’economia nel giro di un paio d’anni rifiorirebbe. Quel che ha distrutto la nostra economia è il consumismo, ovvero la domanda di cose inutili, che non servono a niente. Il consumismo è un comportamento compulsivo, irrazionale, degradante, pericoloso per la stabilità fisica e mentale, individuale e collettiva. Oltre a far aumentare drasticamente l’inquinamento di intere aree, nonché atmosferico, inquina anche il nostro modo di pensare e di rapportarci con tutto quello che ci circonda. La globalizzazione, ossia la libera circolazione delle merci e dei capitali finanziari, è stata voluta dai capitalisti per incrementare illimitatamente, coerentemente con la definizione che li identifica, i loro capitali. Ritornando alla Lira non cambierebbe nulla riguardo alla produzione, all’esportazione e all’importazione delle merci, per questo molti economisti parlano di “sciagura economica” quando si riferiscono a queste nel caso in cui dovessimo tornare alla moneta nazionale. Io non penso che si possa andare incontro alla “sciagura”, semplicemente perché ciò è fuorviante, irrilevante. La sciagura è già in atto. È la produzione illimitata, lo sfruttamento eccessivo delle risorse, e il conseguente nostro “stile di vita“, condizionato dalle pubblicità, dai modelli esposti e imposti ovunque, a causare sciagure economiche che evidentemente nessuno riesce a controllare e regolamentare, proprio perché le norme sono scritte in favore di chi detiene i capitali finanziari, il potere economico e sociale di intere nazioni. La politica è gestita dai capitali, non dai cittadini. La democrazia non esiste nella misura in cui non esistono regole che impongono alle multinazionali di limitare i loro profitti. Sono 85 le persone che detengono la ricchezza della metà del pianeta; ci vuole la metà restante, tutta insieme, per arrivare a fare il mucchio di soldi che hanno quelle 85 persone. È evidente la disparità, l’errata ridistribuzione della ricchezza, dei profitti. Questo non è un problema che riguarda solo la “zona euro”, ma tutto il mondo. Tutto il mondo soffre a causa di questo tipo di globalizzazione. Al contrario la globalizzazione dovrebbe essere culturale, ossia un arricchimento del nostro patrimonio identitario, comunitario ed egualitario. La globalizzazione in atto invece va nella direzione opposta, favorisce le discriminazioni poiché ci sentiamo in concorrenza fra di noi. Ce l’abbiamo con il bengalese perché apre il suo negozio in centro e fa prezzi bassissimi rispetto ai nostri, e così con i cinesi, con gli africani, gli indiani… Però, in realtà, quel che permette tutto ciò è questo modello economico. È quello che dovremmo combattere, non chi “ci porta via lavoro e case”.

Identificare il problema alla radice è l’unico rimedio a disposizione che abbiamo per estirparlo.

P.s. So che è impossibile ridurre le importazioni e le esportazioni: sono un utopista convinto. Ma non pensiamo che tornando alla Lira possa cambiare qualcosa. È una bugia pari alla profezia dei Maya.

Come si fa a volare con le ali spezzate?


Allora, se siamo nell’era delle post-ideologie, perché continuare a parlare di sogni? Che senso ha parlare di sogni quando sistematicamente a questi vengono spezzate le ali prima che riescano spiccare il volo? Con il termine “Post-ideologia” si indica chi ha superato le ideologie, chi, quindi, arranca nel presente nel disperato tentativo di mantenere lo status quo raggiunto. Non c’è un disegno, un’idea del futuro, né una visione storica della cultura dell’umanità nel suo complesso, che invece dovrebbe da sola costituire e costruire un’immagine del futuro ben definita. Tutti brandiscono il futuro, ma nessuno spiega quale, nessuno ne descrive i contenuti, e allora è come mostrare un quadro con la tela bianca, dove a ognuno, a proprio piacimento, ma senza pennelli e colori, è concesso di disegnarci sopra. Grazie.

La politica – la “polis” – a questo storicamente serviva, quando ancora nel praticarla con onore se ne rispettava l’etimologia, anziché annichilirla con disonore dedicandosi alla semasiologia (studio del mutamento del significato delle parole), come è avvenuto invece negli ultimi decenni facendola diventare la metafora di se stessa. Rispettare, e difendere, la storicità di un termine non equivale a una stagnazione, tutt’altro, vuol dire mantener vivi valori etici e morali che per migliaia d’anni hanno fatto la storia e la cultura dell’uomo.
Oggi il termine “politica” ha perso tutto il suo significato originale, la sua vocazione storica; non richiama più concetti come “il raggiungimento di determinati fini”, se non ormai soltanto “fini” a se stessi, ovvero la garanzia di un futuro roseo da parte di chi la esercita, il politicante, e non di chi la subisce, l’elettorato. Pensiamo a quante volte sono cambiate le società nella storia dell’uomo, e quante ideologie, quanti modelli sociali, giusti e sbagliati, si sono susseguiti. I mutamenti sono da sempre parte della natura umana, e il fatto che negli ultimi centenni, dall’inizio della Prima Rivoluzione Industriale e l’avvento del Capitalismo, ci sia stato un assestamento, un adagiarsi sugli allori e un innegabile arroccamento, non può non farci riflettere sulle cause e sulle conseguenze. La crescita indefinita e illimitata dove, in quali e a quali condizioni ci sta facendo vivere e ci farà vivere in futuro? È inconcepibile constatare come la politica non riesca più a vedere oltre il mantenimento dei propri privilegi e di coloro che nel modello di crescita infinita si arricchiscono sempre più. È inutile ricordarlo ancora una volta, ma necessario, come in questa crisi economico/culturale (l’ennesima) i ricchi si siano arricchiti in maniera esponenziale nella stessa misura in cui i poveri si sono impoveriti drasticamente. La politica è ormai pienamente collusa con chi in questa crisi sta arricchendosi.

Siamo dentro un sistema di mobilità verticale, di competizione, un sistema nel quale lo status di élite è il premio di una lotta senza regole.
La competizione è simile ad una gara sportiva, nella quale molti sono i concorrenti e pochi i premi, e la manipolazione delle regole per arrivare a tagliare per primi il traguardo individuale è vista come una qualità ammirevole. Non si tiene conto delle differenze fisiche degli atleti: apparentemente tutti partono in condizioni di parità, senza però curarsi minimamente della muscolatura, delle abilità fisiche e mentali dei concorrenti. È come se giocassimo tutti ai massimi livelli, indistintamente dalle capacità di ognuno, così diventa una sfida senza regole e senza i dovuti riconoscimenti delle differenze.

Per ciò la corruzione dilaga.

È un problema di portata globale, non certamente solo italiano, anche se il nostro Belpaese “vanta” i primi posti nella classifica dei paesi più corrotti a livello mondiale, non soltanto europei. Il numero dei parlamentari e il costo per il loro mantenimento li conosciamo tutti.

Il problema, di ognuno di noi, è che raggiunto il benessere – individuale – non si ha più il desiderio di cambiare (che dovrebbe invece essere un istinto e un pregio connaturato nell’uomo), di migliorarsi, ma pensiamo solo a godere il successo raggiunto, fregandocene altamente della comunità, del resto del mondo.

La nostra è una crescita verticale, non orizzontale, come invece dovrebbe essere. È infatti il benessere individuale, presunto, effimero, a rendere tutto stabilmente instabile.

Oggi nessuno si scandalizza più veramente, ormai siamo abituati a tutto. Nessuno più si indigna nell’animo per le tragedie che si consumano ad un ritmo vertiginoso; ci si stizzisce, ripetutamente, in piena sintonia con l’era post-ideologica, o meglio “liquida“, come Bauman ci insegna. Sentiamo di tragedie e proviamo sdegno ma, alla fine, finisce lì, giriamo pagina, cambiamo canale, andiamo per vetrine, e tutto sembra scorrere normalmente, quando invece, nell’ormai impercettibile reale realtà, c’è un mondo sul piede di guerra, che combatte, si ammazza e soffre per la mancanza di sensibilità umana, che ci convinciamo essere una mancanza che non ci appartiene, che “è sempre di qualcun altro“, mai la nostra, completamente alienati come siamo.

La metafora tanto in voga che paragona la vita a un film non è più appropriata. Siamo semmai i protagonisti degli spot pubblicitari che si susseguono tra una scena e l’altra del film drammatico della vita, se proprio vogliamo conservare la metafora.

La vita viene ormai vissuta tra una scena e l’altra.

Siamo circondati dalle distrazioni, e ci va bene così: fino a che quella “disumanità” non ci raggiunge perché mai dovremmo preoccuparci? Meglio godersi la vita finché si è in tempo. E andiamo avanti così mentre il mondo affoga nell’apatia, nell’egoismo, nell’avidità. Termini, questi, talmente d’uso comune che non fanno più alcun effetto.
Insomma, non ci siamo dentro fino al collo, ma fin sopra gli occhi.

Oggi nessuno crede più negli ideali.

Nessuno ci crede più per il fatto che negli ultimi decenni sono state tradite tutte le promesse. Ostinarsi a volerne parlare a che serve? È come pretendere di tenere in piedi un uomo con le gambe spezzate: è sadico.

Meno chiacchiere e più fatti aiuterebbero, certamente, ma si deve anche dire quale modello sociale vogliamo. Nessuno ne ha in mente uno definito, e nessuno parla pubblicamente dei problemi endemici di questa società, riconoscibili non soltanto attraverso le esperienze passate, ma anche dalla realtà che ci circonda. Di fatto, la lungimiranza, che dovrebbe essere la prima qualità di un politico, non esiste più.

Non ammettere gli errori del passato non può che servire a mantenere un potere finanziario riservato a pochi prescelti, ad arroccarsi per mantenere privilegi individuali, e non comunitari. Non esistono altre spiegazioni razionali. Quando siamo malati tutti andiamo dal dottore, o in ogni caso tutti andiamo in cerca di una cura; è il nostro istinto di sopravvivenza che ci spinge a farlo. Lo stesso dovrebbe valere nel caso di una società malata, eppure così non accade. E fino a che la politica dibatterà su come tamponare, aggiustare, correggere, anziché su come rivoluzionare, cambiare, stravolgere, questo modello sociale consumistico, nulla potrà mai cambiare, ma solo peggiorare. Fino a che non ci sarà coerenza fra ideologia e azione, e fino a quando non ci sarà qualcuno con la volontà di dare il buon esempio, tutto peggiorerà. Ce lo insegna la storia.

Fino a che nessuno parlerà e spiegherà la radice dei problemi, è inutile parlare di sogni. È questo atteggiamento che ci ha fatti sprofondare nell’era post-ideologica. Iniziamo a parlare dei veri problemi, e dopo si potrà anche tornare a parlare di sogni, a esprimere pensieri autentici, anziché di convenienza individuale. Lasciamo perdere le semantiche ideologiche, che sono espressioni della recitazione di un ruolo. Oggi non abbiamo bisogno di questo, ma di tornare alla realtà, di ricostruire delle basi solide sulle quali poggiare i sogni di un futuro possibile, e non di basi sempre più instabili dove i sogni annegano nell’oblio ancor prima di avere una speranza di realizzazione. Medichiamo le ali ai sogni, e poi torniamo a volare… Non ostiniamoci a fare il contrario, perché le cadute stanno facendo sempre più male, e sempre più vittime.

Stato individualista


Thomas Frank (citato da Neal Lowson in “Dare more democracy”, 2005):
Qui Lowson:
«Il governo si è ridotto ad ancella dell’economia globale».
Qui Frank:
«Liberando ulteriormente il mercato e consentendo a esso di estendersi e di inglobare sempre più il settore pubblico, il governo è costretto a pagare il conto del fallimento del mercato, delle esternalità che il mercato rifiuta di conoscere, e deve fungere da rete di sicurezza per gli inevitabili sconfitti dalle forze del mercato».
Bisogna aggiungere, però, che i “fallimenti” occasionali del mercato non sono i soli a stilare la classifica delle priorità di governo. La mancanza di regole alle forze del mercato e la resa dello Stato alla globalizzazione di queste (la globalizzazione degli affari, del crimine o del terrorismo, ma non quella delle istituzioni politiche e giuridiche in grado di controllarli. Ad esempio una legislazione mirata a combattere le mafie è presente in particolare in Italia, ma nel resto del mondo ancora si sta facendo poco o nulla per adeguarsi, quando invece sappiamo bene, come ha affermato in più occasioni il Procuratore aggiunto Nicola Grattieri, che le mafie operano a livello globale: sono laureati e vestono in giacca e cravatta, gestiscono in prima persona, alla luce del sole, i mercati finanziari, della droga, delle armi e del commercio globale), dev’essere pagata, “quotidianamente”, con il disordine e la distruzione sociale: con una fragilità senza precedenti dei legami umani, con la fugacità delle fedeltà collettive e con la deresponsabilizzazione degli impegni e della solidarietà.

I mercati, com’è noto, operano per scopi diversi da quelli dello stato sociale: non hanno interesse affinché si operi a favore della riduzione delle disuguaglianze sociali, e agiscono esclusivamente su un principio di profitto economico “individuale”: ad essi non importa “chi” e “quanti” possono permettersi un posto nella società, ma “quanto” e “quante volte” quei pochi siano invece disposti a mettere le mani nel portafogli.

Woody Allen in “The complete prose of Woody Allen”, con la sua solita ironia pungente afferma che «Più che in ogni altra epoca della storia l’umanità è a un bivio. Una via porta alla disperazione e alla completa assenza di speranze. L’altra porta alla totale estinzione. Preghiamo affinché abbiamo la saggezza di scegliere correttamente […]».

Le politiche dei governi sono sempre più corrotte dai mercati globali.
Non esistono, e non possono esistere, soluzioni locali a problemi che sono di natura globale. Così come non possono esistere soluzioni individuali a problemi che sono di natura sociale. Le politiche locali agiscono invece per mascherare e compiacere quelle globali. I problemi di natura globale vanno (e devono e possono essere solo) affrontati globalmente. Ciò che invece avviene è l’esatto contrario. L’attenzione alle carenze dello Stato sociale, evidente e palese, si sposta verso quella individuale. Le frustrazioni e le incapacità individuali, che trovano il loro carburante nelle inefficienze dello Stato, sono state dichiarate ormai un problema solo ed esclusivamente di natura individuale. Il “destino”, ovvero il futuro, l’ignoto, che ci hanno esortati a coltivare con cura maniacale affinché possiamo spianarci la strada per una vita migliore, viene “quotidianamente” ridimensionato a dilemma personale, soggettivo, sradicando in noi l’idea che la collettività, la comunità, invece svolge un ruolo fondamentale affinché l’individuo possa trovare terreno fertile sul quale coltivare le proprie aspirazioni e costruire in base ad esse quel “futuro rigoglioso” che invece siamo sollecitati (dai mercati) a cercare scegliendo fra le infinità di prodotti e gadget offerti dal mercato. A noi solo l’imbarazzo della scelta (individuale).
Tanto più si ha la tendenza ad individualizzare problemi di natura sociale quanto più lo Stato sociale è assente.
Oggi infatti siamo convinti che gli altri siano guidati da simili motivazioni egoistiche, dunque non riusciamo ad attenderci da essi più compatimento disinteressato e solidarietà di quanto siamo indotti, allenati e disposti a offrire. In una società che poggia su queste fragili basi, la comunità tende ad essere percepita come un territorio disseminato di trappole e imboscate. A sua volta questa percezione, come in un circolo vizioso, accentua la fragilità cronica dei legami umani che così si autoalimenta.
Uno Stato non può definirsi tale quando opera, legifera, e sostiene pubblicamente teorie individualiste. Siamo davvero a un bivio; oggi più che mai.
Infine, quando la popolazione è frustrata, senza comprendere razionalmente le ragioni effettive della sua frustrazione, a causa dei messaggi contraddittori che assorbe attraverso i mass media (fonti principali di “cultura”, in particolare nel nostro Paese), è conseguenza inevitabile che si verifichino espressioni di violenza, che per loro natura trovano alimento in tali irrazionalità, vendute ovviamente dal mercato.