Archivi tag: discriminazioni

Libri vs Facebook: 0 – 1


La prima cosa che un libro insegna è come stare in solitudine, poi ad apprezzarla, a conversarci, spesso per questo privilegiandola, in quale posizione la si gradisce di più, e a portarla a spasso a volte facendole fare i suoi bisogni come un cane. Ma quel che involontariamente insegna un libro, un buon libro, è a leggere e scrivere, sia concretamente che intellettualmente.

La prima cosa che Facebook insegna è come fare i selfie, poi è un crescendo di: guardare e condividere prevalentemente video, leggere le notizie a metà, cliccare sui titoli sensazionalistici e condividerli di volta in volta, non approfondire, non verificare, come dimenticarsi della grammatica, della sintassi, della coerenza, della logica, dei familiari, come far perdere di significato la parola “amicizia”, come dire senza un briciolo di vergogna che non si è razzisti e che non si fanno discriminazioni però prima vengono i nostri figli e poi tutto il resto del mondo se c’è tempo altrimenti può anche crepare, come far gli auguri a persone che non conosci ed augurare ad altrettante la morte. Alimenta l’ignoranza e la diffidenza poiché elementi presenti in chi, statisticamente, lo utilizza con più frequenza. Facebook, in ultima analisi, è il luogo in cui spesso la solitudine assume aspetti inquietanti, perciò insegna a diffidare di se stessi e ad evitare accuratamente di rimanerci da soli, e, non da ultimo, a leggere e scrivere male, concretamente e intellettualmente.

Se questa è l’Italia…


Soffriamo tutti di un grave disturbo bipolare, di uno sdoppiamento della personalità che in confronto il Dr. Jekyll sembra avere un lieve sbalzo d’umore. Siamo bugiardi, dentro, incalliti, che quando diciamo una bugia sappiamo di dover convincere prima noi stessi per convincere poi gli altri, e sono bugie così vere da essere ormai diventate verità, normalità. Siamo tutti impazziti, da rinchiudere in un manicomio criminale, nessuno escluso, per marcirci dentro a vita. Oggi sì, domani no, poi sì, poi dinuovo no…! Che fine ha fatto la vergogna? E la dignità?

E finalmente si è capito che anche il M5S non è altro che uno specchietto per le allodole, un contenitore dentro il quale rinchiudere ogni forma di protesta che rischiava di sfociare nella violenza, un bottone in più sul telecomando a disposizione — come un placebo — del popolo su cui sintonizzarsi, per chi volesse somatizzare, reprimere e frustrarsi ancor di più per tutto il marciume che nel frattempo la politica italiana ed estera stanno spargendo nelle postazioni di controllo democratico. O in quel che ne è rimasto. È oggi ancor più chiaro che il disegno politico italiano, insieme con quello globale, è di addormentare le ultime coscienze rimaste sveglie, anche le più insonni, per svendere così in libertà quel che è rimasto della cosa pubblica, di proprietà dei cittadini, e lasciar così campo libero all’invasione capitalista neoliberista che sta mietendo vittime ovunque nel mondo. Il M5S dopo le elezioni europee non poteva far altro che gettare la maschera e mostrarsi palesemente per quel che è: un piccolo gruppo di persone intellettualmente corrotte (vedremo a questo punto in seguito se la corruzione si fermerà qui), incapaci di ribellarsi ai “capi”, convinte anch’esse che per governare il tanto sbandierato “popolo” ci sia bisogno di una guida, di un guru che lo indirizzi a suo piacimento (quello dei poteri finanziari) lungo un percorso prestabilito fuori da ogni logica di valore vicina al bene comune, alla con-vivenza, all’uguaglianza dei popoli e ai Diritti di ogni essere umano. Certo che il popolo ha bisogno di una guida, di essere indirizzato, e ci mancherebbe!, ma è mai possibile che questa debba andare sempre nella direzione sbagliata, cinicamente a sfavore di qualcun altro e mai che intraprenda la strada per il bene comune, lontano dalle discriminazioni che si fanno sfacciatamente sempre più profonde? Appannare la riflessione, anziché stimolarne l’uso, sembra essere l’unico scopo che chi conquista un po’ di potere vuole raggiungere.

Non ci si poteva credere, e in molti ci sono cascati dentro con tutta la testa, me compreso, convinti che dall’Italia potesse iniziare a germogliare qualcosa di grande, di meraviglioso, di finalmente onesto in grado di cambiare la concezione sociale del mondo di oggi e di esportarlo altrove. Siamo (eravamo?) l’Italia, abbiamo fatto la storia dell’uomo, non sarebbe stata poi tanto campata in aria come prospettiva. E invece eccolo lì, il M5S. Da sempre contro ogni forma di condizionamento mediatico delle coscienze, delle opinioni, almeno a parole, e poi grande manovratore di consensi quando si tratta di fare alleanze con partiti xenofobi-razzisti che non guardano in faccia nessuno se si devono salvaguardare i propri confini a danno di coloro che ne sono fuori. Da sempre schierato in difesa dei Diritti Umani, paladino della Giustizia e degli Ultimi, quelli lasciati nell’oblio dai media e quindi dallo Stato, il M5S non ci pensa due volte a organizzare alleanze con chi quei Diritti, quegli Ultimi, preferisce lasciarli lontani dal cuore, e anzi si diverte cinicamente a schernirli e a ricordargli quanta poca considerazione ha di essi e quanto poco contino in una società allo sbaraglio come questa, intento, come altri, nel perseguire un modello economico-sociale fondato e fossilizzato sul profitto e sullo sfruttamento delle risorse materiali e umane a discapito di quelle popolazione che a causa di ciò vengono lasciati in miseria. Il M5S era (avrebbe dovuto essere) quella compagine di cittadini che si dichiarava lontana dalle logiche mediatiche del consenso, dal marketing politico, dall’influenza e dalle limitazioni di scelta, salvo poi escludere a priori i Verdi dalle “votazioni online”, dichiaratamente indirizzate a colpi di post pro-Farage, scelto anticipatamente dai sempre più ingombranti e incomprensibilmente — fino a prima delle elezioni europee — confusionari Grillo e Casaleggio come l’unico con il quale fare alleanza. Sdegnare fino al giorno prima le nomine fatte dai partiti e poi nominare spudoratamente un personaggio come Farage elevandolo a “bene assoluto” è stata la mossa più ridicola che il Movimento potesse immaginare di fare per venire allo scoperto. Le alternative, che prima delle elezioni europee sembravano essere la vera bandiera dei 5Stelle, si sono ridotte così anch’esse al classico “non ci sono alternative” come da tradizione thatcheriana, la stessa in cui del resto è cresciuto e si è formato Farage (e da cui tutto il sistema politico occidentale attuale ha preso spunto), l’etichettato “simpatico signore” da Grillo. Il M5S è dunque un altro partito, l’ennesimo, né peggio né meglio di altri, con la evidente funzione sociale di incanalare le frustrazioni del popolo per fare da “rete” di sicurezza, come quelle che nei circhi stanno sotto ai trapezisti e ai funamboli pronte a salvare non solo chi ha paura di cadere, chi ancora crede ci possa essere qualcosa di buono, “sotto”, verso cui riporre fiducia e speranze così da continuare a rischiare, che tanto, mal che vada, c’è la Rete, ma anche per lasciare pressoché indisturbati chi da “lassù” rischia con la nostra pelle, lasciando al popolo, o a una parte di esso, la falsa speranza di una salvezza dal quel marciume che ci impregna fin nel DNA. Quella “Rete”, metafora mai così azzeccata, che appunto finge (nota bene: non “funge”) da protezione, ma che in realtà scientemente accoglie tutti coloro che conservano — o credono di conservare — un senso critico, autonomo, immune dalle dipendenze del pensiero autoritario, assolutistico, egemone, ipocritamente autarchico, per indirizzarli, una volta di più, come se non bastasse quello che già offre la società, e con maggiore sottigliezza, pertanto con ancor più disprezzo, verso un percorso già segnato, o una fossa già scavata che si fa solo finta di voler ricoprire. Un perfetto gioco delle parti, dove il poliziotto buono, a seconda dei punti di vista, diventa il poliziotto cattivo e viceversa, cosicché chi si trova in mezzo è costretto a subire, suo malgrado, le falsità che si rimpallano e che gli vengono scaricate addosso.

Siamo ormai alla pura follia. In un paese “normale”, la psichiatria avrebbe di che occuparsi 28 ore al giorno della nostra classe dirigente anziché degli omicidi efferati che ogni dì ci frantumano quei due neuroni rimastici. Altro che riempire talk-show di politicanti, pseudo-filosofi, politologi, opinionisti, giornalisti e compagnia cantante; farei riempire gli studi televisivi di scienziati per analizzare la classe dirigente italiana, tutta. Siamo al festival dei ripensamenti, al Sanremo delle bugie, ai Nobel per la sfrontatezza. Come diavolo fai a fidarti di gente così? Va bene pensarla diversamente, è giusto avere preferenze politiche, ideali diversi, eccetera, bla bla bla, ma qui c’è qualcosa che non va… Qui sta accadendo qualcosa di seriamente inquietante.

Se questa è l’Italia, quella degli omicidi efferati, dei plastici di Porta a Porta, dei corrotti e corruttori, degli sprechi, degli appalti ai soliti noti, delle emergenze, delle grandi opere infinite dai costi infiniti, dei politici latitanti e di quelli che li aiutano a latitare, delle stragi irrisolte, dei mafiosi alla guida di grandi partiti nazionali che decidono le sorti del Paese e della Costituzione, dei Comuni sciolti per mafia, del Presidente della Repubblica al secondo mandato, delle slide, di quelli che dicono che le elezioni europee non sono un referendum sul Governo ma che poi il 40,8% legittima a eliminare il minimo cenno di dissenso come nelle peggiori dittature, degli 80€ che a forza di ripeterli vogliono diventare 800, delle nuove tasse aggiunte in silenzio, dei brogli elettorali sì, brogli no e degli ebetini manovrati dai poteri finanziari con cui mai e poi mai dialogare ma che poi due chiacchiere forse è meglio farcele, dei regali ai signori del gioco d’azzardo, degli interminabili e inconcludenti talk-show, della politica mediatica, dei giornali di partito indebitati, dei giornalisti indebitati coi partiti, dei razzisti leghisti, dei nazisti di Forza Nuova, dei diti medi dei Fassino, delle Santanché, dei Gasparri, di Equitalia, dei senza tetto per pignoramento costretti a dormire in macchina o sotto i ponti, delle famiglie sfrattate dagli alloggi occupati abusivamente senza pensare a una loro sistemazione dopo, delle migliaia di imprese fallite al mese, dei suicidi, delle banche usuraie, dei favori alle banche, dei centri di accoglienza stracolmi, delle carceri al collasso, della Sanità pubblica distrutta e sempre più indebitata, delle scuole che cadono a pezzi, dei bambini delle elementari che ripongo, cantando canzoncine, il loro “futuro nelle mani dell’amato Presidente”, delle alluvioni che bloccano intere città e distruggono interi paesi, delle frane, dei terremotati eternamente senza casa e dei moduli abitativi lasciati marcire in emarginazione, delle “baby prostitute” e delle igieniste dentali, dei marò che sono sempre in India e che presto torneranno in Italia e chissenefrega dei poveri pescatori indiani uccisi e delle loro famiglie che avrebbero pur diritto, anche loro, a conoscere chi e perché li ha uccisi (fossero stati italiani?); se questa è l’Italia… delle partite di calcio decise a tavolino, dei tifosi che si ammazzano e dei “Jenny ‘a Carogna” che sedano le rivolte, dei G8 di Genova, dei Cucchi, degli Uva e degli “Speziale libero”, dei preti pedofili, dei fondi neri dello IOR, delle maestre degli asili nido che picchiano i bambini, dei centri di Igiene mentale dove i pazienti vengono picchiati, delle discariche abusive, delle fabbriche inquinanti, dei morti per tumore a causa dell’inquinamento e dei morti per un lavoro che non garantisce sicurezza, dei senza lavoro, dei senza diritti, delle pensioni d’oro e di quelle da fame, dei tagli alla cultura, dei cervelli in fuga, degli oroscopi di Branco e di Paolo Fox, delle D’Urso che si dichiarano giornaliste e delle De Filippi che si ergono a “welfare”, dei tweet prematuri del ministro Alfano e di quelli sempre puntuali del presidente del Consiglio Renzi, del tutti contro tutti, che tanto nessuno ci capisce più un emerito nulla… se questa è l’Italia, allora siamo fritti.

“Bisogna avere più cervello e meno cuore…”, perché siam bravi tutti a parole


Riprendendo il filo da dove avevo lasciato, come già detto, finita la Seconda Guerra mondiale dopo la Liberazione rientrarono nelle case, 20 mesi più tardi, 200.000 partigiani e circa 500.000 italiani nascosti o fuggiti all’estero nonché 1 milione e 360.000 di prigionieri sparsi in tutto il mondo, senza contare quelli che non sono mai più tornati, fondando e radicando comunità in ogni angolo del pianeta. Inevitabilmente fu un esodo di massa, che però non riusciamo neppure a paragonare con quello che sta avvenendo oggi nei paesi schiacciati dalle guerre. Perché? Eppure le affinità ci sono tutte: dittatori che opprimono e schiavizzano le popolazioni ai loro voleri per soddisfare una personalissima concezione del mondo che si erge sulla supremazia come pure sugli interessi economici. Non c’è la “razza ariana” a fare da capro espiatorio, ma c’è quel comune impulso avido a controllare e annullare gli Altri, considerati unicamente come strumenti per raggiungere i propri scopi, atti ad affermare un vantaggio competitivo in un mondo che fa del dominio e della competizione le sue ragioni d’esistenza.

Quando le Guerre si conclusero, l’Europa fu liberata, ma non finirono i disagi e le violenze da un giorno all’altro. Era tutto distrutto; c’era tutto da ricostruire. La produzione industriale italiana era bassissima: se 100 era quella del 1938, nel 1942 scese a 89, nel 1943 a 69, e alla fine della guerra era piombata a 29. C’era una diffusa indigenza: con la tessera alimentare si arrivava ad appena 900 calorie al giorno, gli altri saltavano i pasti o erano costretti trovare il modo di arrangiarsi. Iniziava in questo clima “la grande avventura della ricostruzione”, non solo materiale ed economica, ma anche dei valori, spirituale. Possiamo oggi dire di esserci riusciti?

Prendiamo il Sud. Era la parte del paese che più aveva risentito dalla guerra. Oltre ai danni provocati dalle bombe, l’economia era al tracollo, le regioni del sud si trovavano in serie difficoltà, isolate dal resto del paese, e questo non aiutava la popolazione ad avere fiducia.
Nel ’50, tra disagi e rivolte popolari (contro i latifondisti) generate dopo varata l’inefficace riforma agraria, meglio nota come Riforma Segni, fu creata la Cassa del Mezzogiorno, con l’intento di istituire un’ente autonomo in grado di garantire la realizzazione di strutture e attività economiche nel meridione, ma che finì per trasformarsi in un ente politicizzato che dipendeva intrinsecamente dalle direttive delle diverse coalizioni politiche che si alternavano al governo. Così, invece di incentivare la crescita delle regioni del Sud, contribuì a incrementare il mercato per le imprese del Nord favorendo la crescita del reddito e dell’occupazione nelle zone meno disastrate. Quanto è cambiato da allora?

L’Italia dunque, da paese aggressore e oppressore, riscattatasi alla fine della guerra, divenne nuovamente preda dell’avidità istituitasi attraverso interessi economico-politico-strategici. A chi poteva permetterselo non rimaneva che emigrare, non solo verso l’Italia settentrionale, ma anche verso la Svizzera, la Germania, il Canada, le americhe, l’Australia, eccetera. Gli italiani sono numerosi e ovunque nel mondo.
È inoltre doveroso ricordare, per comprendere le allora condizioni, che insieme alla fame e alla grande miseria, alla fine della guerra furono molte le donne costrette a prostituirsi, ed erano costretti a vendersi per 2 o 3 dollari (300 lire) anche ragazzini e ragazzine di 10 anni, che venivano valutati a palpeggi prima di essere sceglierli. Costava molto di più un chilo di carne che una ragazza o un ragazzino.

C’era una dignità da ricostruire ma l’indigenza, le ruberie delle amministrazioni e le discriminazioni rendevano tutto più difficile; certo è che le emigrazioni non si arrestavano.

Tuttavia, il sentimento di solidarietà e umanità non si estinse, ma era più diffuso fra gli italiani emigrati all’estero che non fra coloro rimasti sul territorio. Nella storia dell’emigrazione italiana hanno prevalso a lungo sentimenti di appartenenza locale, generati dalla sostanziale assenza dello Stato nei confronti dei propri emigranti ma anche di quella dello stato che li ospitava. Più o meno è quanto accade fra gli immigrati stranieri presenti in Italia e altrove: escluse le necessarie cure di primo soccorso, di fatto gli stranieri fuggiti dalle guerre e richiedenti aiuto sono prevalentemente lasciati a se stessi, senza alcuna struttura che si occupi minimamente della loro integrazione (le strutture di accoglienza sono sempre più simili a lager). Accade allora che pur di sopravvivere c’è chi è costretto a delinquere, chi a mendicare, chi a fare lo schiavo di qualche padroncino in cambio di un pasto, chi cerca in tutti i modi di raggiungere parenti sparsi in Europa, ma ognuno di loro è sostanzialmente lasciato allo sbando. Per fare un paradosso (neanche tanto), in Brasile, che ospiterà i prossimi Mondiali di calcio, le prostitute (la prostituzione è legale in Brasile) stanno recandosi in massa a studiare l’inglese (gratuitamente nelle strutture preposte sul territorio), in modo tale da essere pronte a fronteggiare l’invasione dei turisti provenienti da ogni parte del globo per seguire la competizione (ma anche per riuscire a comunicare meglio evitando di trovarsi in situazioni pericolose – che certo non mancheranno lo stesso, ma non per questo debbono essere abbandonate a se stesse). I Mondiali di calcio non sono un evento che si può interrompere, come non si può reprimere la prostituzione, come pure gli esodi di massa generati dalle guerre, e giacché non c’è la volontà di fermare nessuna di queste “contingenze”, l’unica via intelligentemente, razionalmente e umanamente praticabile è quella dell’integrazione: predisporre servizi di assistenza e tutela sul piano culturale ed educativo è sempre meglio che reprimere. La consapevolizzazione e l’istruzione hanno sempre aiutato la gestione di situazioni che altrimenti sarebbero lasciate totalmente in mano alla criminalità, come del resto avviene quando le istituzioni vengono a mancare. Basta vedere le condizioni in cui versa l’Italia.

Ad ogni modo, fosse per me i mondiali di calcio non si farebbero, almeno non in mezzo a sprechi colossali che portano solo violenza e dividono il popolo, ma non ho il potere di cancellarli, e in ogni caso il calcio è uno sport che piace, evidentemente così com’è; per alcuni la prostituzione è da condannare senza appello, per altri andrebbe legalizzata, ma nessuno ha il potere di eliminare le prostitute, anche se i fatti di cronaca a volte fanno supporre il contrario; e così vale per la guerra: per alcuni va fatta, è un’esigenza, un’urgenza, una fatalità (?), mentre per altri è inservibile, corrotta, indecente, disumana, immonda, ma nessuno — tantomeno noi italiani — può arrogarsi del potere di decidere “chi” e “se” deve essere aiutato quando da essa scappa. Gli animali in moltissimi casi hanno dimostrato di essere migliori di noi. Ma il punto centrale è che i fattori più importanti, il “come” e il “perché”, non sfiorano alcuno, introiettati di paura come siamo che ci portino via le risorse vitali da un momento all’altro. La stessa paura verso gli immigrati italiani ce l’avevano in molti, ma i governi li facevano entrare poiché servivano a sviluppare le economie infrastrutturali dei paesi stranieri che li accoglievano, non certo per una questione di solidarietà umana, che esisteva solo endemicamente per le ragioni sopra dette. Infatti le condizioni lavorative erano paragonabili alla quelle della schiavitù. L’emarginazione sociale gli italiani all’estero l’hanno sperimentata, e chi l’ha vissuta sa quanto sia da condannare, ma chi si atteggia come coloro che quando non ci sono problemi sono tutti fratelli e allora è giusto darsi una mano, però se ce ne sono “sparisci dalla mia vista”, è ancora più deprecabile, specie se il “sermone” arriva da chi si diverte a elogiare figure come quella di Gandhi, incarnazione della non-violenza e dei Diritti umani, o di Gino Strada, il fondatore di Emergency, l’associazione umanitaria fatta da volontari che si occupa di portare assistenza sanitaria nei paesi distrutti dalle guerre, e che ogni giorno rischiano la loro vita per salvarne altre, innocenti.

La responsabilità che abbiamo nel ricordare certi momenti storici, non si deve limitare ai soli confini nazionali o familiari, ma si deve estendere in tutto quel senso di solidarietà che dobbiamo coltivare per impedire che appassisca definitivamente.

Pur essendo inconsapevoli abbiamo comunque delle responsabilità.

Ci consideriamo in grado di decidere chi deve morire e chi invece vivere, giustificandoci con argomenti impraticabili — ma efficaci — come la mancanza di risorsein un mondo che produce tre volte tanto quello che consuma, così tanto che sarebbe più che abbastanza per tutti. Non è assecondando queste politiche che si risolvono certe questioni sociali.

Quali sono stati dunque gli eventi e i comportamenti che hanno favorito la nascita del sentimento di paura che gran parte dei cittadini europei ha nei confronti di queste povere persone incolpevoli? Sappiamo ormai perché si fanno le guerre, e allora perché non riusciamo ad andare oltre la propaganda mediatica capace solo di infondere odio, paura, persino invidia verso chi fugge da esse? È chiaro che la realtà mediatica prevale su quella effettiva, ma la storia deve pur averci insegnato qualcosa. Già alla fine dell’800 le comunità italiane all’estero erano importanti, proviamo allora a immaginare come avrebbero potuto sentirsi i nostri avi difronte a un eventuale respingimento: sarebbero stati costretti a rimanere in patria a subire le violenze e le ingiustizie, abbandonati a se stessi e ai loro problemi, senza ricevere il minimo aiuto da parte di nessuno. Se un bambino innocente ci tende una mano in cerca di aiuto è difficile girarsi dall’altra parte e far finta di niente, eppure è quello che vogliamo fare, che stiamo chiedendo di poter fare. Qualcuno ha dichiarato che per affrontare certi problemi “bisogna avere più cervello e meno cuore”… come se le due cose, a prescindere, non fossero capaci di esistere parallelamente in comune accordo, eppure gli esempi che dimostrano che se si ha la volontà possono coesistere tranquillamente ce ne sono e sono formidabili, autorevoli, come quelli su citati, anche se i loro lasciti oggi sembrano essere più in mano alle multinazionali che ne hanno fatto dei brand. È rispettoso nei loro confronti? E verso chi crede nei valori che hanno lasciato?

Così come quando c’era il fascismo il sentimento di rivalsa nazionalistica era ben amplificato dalla propaganda di regime, allo stesso modo il moderno regime mediatico instilla nelle menti più deboli e sottomesse un senso di egoismo distogliendo la loro attenzione dalle vere cause generatrici di tanto caos sociale e dai valori centrali che tengono insieme una società fatta di comunità che vivono l’una in simbiosi con l’altra. I sentimenti pseudo-anti-straniero e le misure di respingimento degli immigrati “nemici” che ci accingiamo ad avallare vanno contro ogni principio di convivenza fra i popoli per i quali dovremmo batterci pacificamente. L’unico terreno di guerra sul quale dobbiamo combattere contro le ingiustizie si trova nelle nostre menti e nei nostri cuori, in parti uguali. I Diritti Umani sono di tutti. Tutti. Non facciamoci condizionare dalla propaganda di regime. Chi detiene l’informazione sono gli stessi che hanno interesse a mantenere bassa la consapevolezza verso certe questioni poiché chiaramente li colpiscono da vicino. Chi ha pozzi di petrolio in Niger siede nei consigli di amministrazione dei più grandi conglomerati mediatici (questi sì con un gran senso di comunità), come ci siede chi è nel tessile, nel minerario, nel settore alimentare e via di seguito. Essere consapevoli del fatto che lo sfruttamento di tali risorse distrugge e inquina interi territori lasciando le popolazioni nell’indigenza che noi tutti siamo abituati a vedere solo in foto, come potrebbe farci scegliere le politiche di respingimento? Essere consapevoli del fatto che consumiamo più di quanto ne abbiamo necessità, come potrebbe farci pensare che le risorse non possono non bastare per tutti lasciando entrare chi ci chiede aiuto? Ancora una volta: sosteniamo di essere contro la vivisezione, gli stupri, la pedofilia, gli omicidi, i femminicidi, i genocidi, ma siamo pronti a girarci dall’altra parte davanti alla prova dei fatti. E questo dimostra quanto siamo bravi a parole. Solo a parole. Di atavico ci è stato espropriato tutto, in compenso abbiamo acquisito il linguaggio, la personalità, il carattere comunicativo e apprensivo dei media. Dovremmo esserne fieri? Le amministrazioni hanno sempre rubato, in particolare quelle italiane, ma non è questo un buon motivo per continuare ad essere i loro sottoposti inconsapevoli. Anzi, forse questo è il momento giusto per smettere.

“Bisogna avere più cervello e meno cuore…”, perché siam bravi tutti a parole


Dicono che non siamo razzisti ma xenofobici, poiché la xenofobia è la paura dello straniero (quella che con tanta veemenza ci viene attribuita), mentre il razzismo si esprime con un sentimento di odio verso una determinata etnia. Pensandoci bene, però, cos’altro potrebbe mai essere, se non odio, quel sentimento che ci induce a pensare che i respingimenti in mare degli immigrati sono l’unica politica perseguibile? Abbiamo forse paura degli americani in vacanza? Dei turisti giapponesi o cinesi? I tedeschi non ci facevano paura quando in massa venivano in villeggiatura da noi, come pure i ricchi russi di oggi non ce ne fanno, eppure anch’essi sono stranieri. Non sarà che discriminiamo solo chi non ha denari da spendere? Non proviamo forse odio verso coloro che “invadono” il nostro territorio privandoci delle risorse? Siamo disposti a lasciarli egoisticamente al loro destino certo di morte e violenze, e non vogliamo ammettere che si tratti di odio? Siamo certi non si tratti di una grande ipocrisia?

La xenofobia è come l’aracnofobia o la musofobia (la paura dei topi) e, come tutte le “fobie” conosciute fino ad oggi, che possono manifestarsi più o meno acutamente, esprimono repulsioni perlopiù ingiustificate verso qualcosa o qualcuno: proviamo a mettere un ragno davanti agli occhi di un aracnofobico e osserviamone le reazioni. Se andiamo in un ristorante costoso e ci mettiamo accanto al tavolo dove è seduto un africano pieno di soldi vestito in giacca e cravatta, viene mica da pensare di scacciarlo via? Eppure è uno straniero, e uno straniero con i soldi non è pur sempre uno straniero? E i ragni di qualunque specie non sono pur sempre ragni? Si penserà allora che non si tratta nemmeno di razzismo, ma non è proprio così. Anche razzisticamente, paradossalmente, facciamo discriminazioni. Negli ambienti comuni non conta più il colore della pelle o la provenienza etnica di taluni ma quello dei fogli di carta dentro i loro portafogli. Il razzismo oggi è andato oltre la razza e la xenofobia è andata oltre lo straniero: sono entrambi sentimenti liquidi (che si conformano in base alle circostanze) che trovano sempre più motivazioni nei conti in banca. Le razze sono due e sono valutate distintamente in base alle disposizioni economiche di ognuno, così il povero viene implicitamente sistemato all’interno della “razza inferiore” o marginale, mentre il ricco in quella “superiore” o centrale. Tuttavia a un bambino povero italiano concediamo più volentieri il diritto di vivere rispetto a un bambino straniero nelle stesse condizioni: “prima vengono i nostri bambini” è il mantra in voga negli ultimi anni. Se non ci importa della sofferenza di un povero bambino straniero, come ci potremmo definire? Non sono tutti uguali i bambini? Ci dichiariamo contro la vivisezione, gli stupri, la pedofilia, gli omicidi, i femminicidi, i genocidi, ma siamo pronti a girarci dall’altra parte davanti alla prova dei fatti. Ciò dimostra chiaramente il clima di contraddizioni nel quale siamo caduti, e quanto bravi sappiamo essere a parole.

Ci troviamo così difronte a un modo inconsueto di considerare il prossimo. L’aumento delle discriminazioni ha fatto sì che questo genere di valutazioni immotivate prendessero il sopravvento, al punto che il carattere umano di ciascuno venisse oscurato prima dalla provenienza etnica, poi dalle apparenze e infine dalle sole possibilità economiche. È un pensiero sempre più comune, infatti, ritenere capaci e degne solo le persone che dimostrano di possedere la volontà di arricchirsi e avere successo all’interno della società.

Siamo dunque tutti un po’ xenofobi, un po’ razzisti, un po’ egoisti, ma soprattuto nazionalisti e disumani, però nessuno sa più come autodefinirsi, perciò devono suggerircelo: da soli non ne siamo più capaci.

Dopo le recenti elezioni europee, uno dei messaggi più chiari che il popolo ha espresso è stato quello di voler chiudere le frontiere. Dopo anni che i mezzi di comunicazione di massa presentano all’opinione pubblica rivolte, violenze, attentati, massacri, che avvengono nei paesi più poveri descrivendoli implicitamente come gli effetti provocati da popoli e culture inferiori alla nostra, incapaci di farsi governare, adatti solo a parassitare d’elemosina — essendo esseri intellettualmente inetti —, dediti alla sottomissione e all’annullamento del sesso femminile, abituati a vivere dentro baracche igienicamente lontane millenni dalle nostre moderne case con giardino e sanitari, a non lavarsi e a non cospargersi di creme di bellezza, a mangiare con le mani sporche di terra… quella terra che esiste sempre meno nell’immaginario collettivo del popolo europeo… dicevo, dopo anni di oppressione attuata dalla propaganda di regime, siamo finalmente pronti a scegliere di essere ciò che ci è stato viscidamente imposto.

Parliamo del limbo in cui è caduta la coscienza rispetto a fatti avvenuti negli anni delle Guerre, del fascismo, durante i quali fu messa in atto una delle oppressioni più violente che l’umanità abbia mai conosciuto, e che dovremmo aver desiderio di ricordare proprio per non dimenticare le atroci sofferenze che le generazioni passate furono costrette a subire affinché non si ripetano. Tuttavia, ricordare un’evento è oggi una pratica buona solo a scrollarci di dosso la responsabilità che abbiamo proprio per evitare che simili disumanità ricompaiano sulla scena della civiltà: ricordiamo limitatamente, in maniera contenuta, circoscritta, in un determinato giorno dell’anno, fatti e avvenimenti che invece meriterebbero di essere affrontati facendo lo sforzo di immergerci “empaticamente” nel clima sociale di quegli anni.

Oggi molti hanno dubbi (molti altri non sanno nemmeno di cosa stia parlando), ad esempio, sulla responsabilità diretta dell’Italia e di Mussolini nell’esplosione della Seconda Guerra mondiale che, ricordiamolo, fu dichiarata di comune accordo dal governo fascista e da quello nazista tedesco. Furono oltre 56 milioni i morti su tutto il pianeta, e in gran parte civili, ma i civili non erano solo tra i morti, poiché molti altri sostennero la dittatura, come quelli che riempivano le piazze italiane per esprimere amore e sostegno al Duce. E i dubbi sono proprio figli di coloro che hanno fatto di tutto per mantenere vivo il ricordo di un fascismo “utile ed efficiente”, omettendo, naturalmente, o arrivando perfino a giustificare, tutte le nefandezze di cui si è macchiato. Forse questo lo abbiamo dimenticato, e forse proprio perché nessuno lo ricorda mai abbastanza, quasi a voler nascondere l’errore per sottrarsi dall’impegno quotidiano dell’ammenda, che interessa ognuno di noi, nessuno escluso. E abbiamo dimenticato anche quanti furono gli italiani fuggiti all’estero durante il periodo nazifascista. Consideriamo solo che dopo la Liberazione rientrarono nelle case, 20 mesi più tardi, i 200.000 partigiani e i circa 500.000 italiani nascosti o fuggiti all’estero nonché i 1.360.000 prigionieri sparsi in tutto il mondo, senza contare quelli che sono rimasti e mai più tornati, fondando e radicando comunità in ogni angolo di esso. Come poteva essere la vita in un paese in quelle condizioni?

Emerge così il problema dell’informazione. Abbiamo, in Italia, ma non solo, dei poteri che controllano i media e tutto quello che ci passa dentro, che sono arrivati a sconvolgere la realtà e la storia con una efficacia pari solo al periodo propagandistico nazifascista. Alcuni di questi sono così spudorati da essere capaci perfino di spacciarsi come le vittime delle campagne mediatiche. Abbiamo giornali, televisioni, convegni, che diffondono in abbondanza la propaganda egemone-nazionalista, riuscendo a offuscare valori e ricordi che piuttosto andrebbero custoditi con cura e rispetto. Il risultato è che si è delineato un vero e proprio odio nei confronti di chi chiede aiuto, non solo verso lo straniero: odiamo “la razza inferiore in difficoltà” poiché la consideriamo un’ostacolo per il nostro benessere. Siamo xenofobici, dicono, ma la verità è che si tratta di un po’ di tutto: razzismo, xenofobia, nazionalismo, disumanità.

Sorprendono, per esempio, le enormi contraddizioni che emergono fra tutti coloro che si dichiarano solidali, e che ritengono personaggi come Grandhi, Papa Francesco, Madre Teresa di Calcutta, modelli di umanità da seguire e emulare, quando invece alla prova dei fatti viene a galla quel che in realtà sono diventati: dei perfetti egoisti amanti delle belle frasi ad effetto. È diffuso infatti il sentimento patriottico che sembra non avere più attenzione per gli altri, giacché tantomeno ne riceve. Un sentimento che raggiunge connotazioni di vero entusiasmo e sentita passione in ormai troppi casi. Un protagonismo egemone entrato di soppiatto nella nostra cultura, insinuandosi nelle nostre menti come i più “ingegnosi” e potenti virus informatici fanno con i cervelli elettronici. Quelli più esposti sono difatti coloro che guardano e sperimentano la vita attraverso uno schermo qualsiasi, ovvero prevalentemente i giovani, schermo-dotati ormai fin dalla nascita. È stato ed è, quello della gioventù, un mondo percorso attraverso evoluzioni mediatiche sempre più presenti ed efficaci e viceversa.

Continua…

L’ignorante insensibile


Ci sono persone che hanno un’insensibilità e un’ignoranza tali da essere inarrivabili.

L’ignoranza non è sinonimo di insensibilità, ma un suo rinforzo. E quando sono insieme tale è la loro forza che non conoscono, giacché non li possono riconoscere, avversari. Avversari che dovrebbero essere proprio ignoranza e insensibilità. E come potrebbero mai identificarli, se quando si guardano allo specchio passano il tempo ad elogiarsi, ad autocelebrarsi, ad applaudirsi, a vantarsi, a dirsi quanto sono capaci nelle loro faccende e nei loro pensieri? Mai una critica che sia una; mai un dubbio. Solo certezze. Certi di essere la qualità migliore che si possa desiderare da se stessi, e anzi, non provate mai a far notare loro quando sbagliano, poiché accettano una critica solo quando questa fa risaltare la supremazia che ritengono di possedere e alla quale in ogni caso vanno ambendo. Provate a dir loro che tutti gli esseri umani hanno pari dignità e pari diritti; lo sottoscriveranno con determinazione, salvo poi aggiungere, con spiccato senso di patriottismo e nazionalismo, ovvero escludendo a priori tutti coloro che non fanno parte della loro Patria, che pur essendo esseri umani, gli “stranieri” (ma solo quelli provenienti da determinati territori) non meritano di essere soccorsi poiché “ci rubano lavoro e case”. Provate a dir loro che la violenza sulle donne è diabolico; faranno i salti mortali per corroborare questa affermazione, salvo poi infischiarsene se tutte le donne che cercano aiuto sulle nostre, loro, e le loro figlie, vengono ripetutamente violentate nei “lontani” Paesi d’origine.

Bene, oggi e sempre, auguro a tutti coloro che si riempiono la bocca della Costituzione italiana, per chissà quale incomprensibile motivo, di non trovarsi mai nella condizione di dover abbandonare questa Patria, che tanto amano e sbandierano come segno distintivo di egemonia razziale, e di non subire mai le torture dalle quali scappano tutti coloro che sbarcano sulle nostre coste.

L’articolo 3 della nostra Costituzione recita così:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

Il compito della Repubblica è quello di non alimentare le discriminazioni, e di operare in modo tale che “tutti i popoli” possano raggiungere l’eguaglianza sociale e pari dignità. “Tutti i popoli”, dal momento che oggi nessuno Stato è svincolato dall’altro, e tutti sono legati fra loro per ragioni di ordine economico-commerciale. Quando compriamo un diamante dobbiamo avere la consapevolezza che con quel gesto contribuiamo a far distruggere un territorio e a far sfruttare un bambino, costretto alla schiavitù per sopravvivere. Quando accendiamo un fornello, o i caloriferi, o una lampadina, o facciamo il pieno di benzina, dobbiamo essere consapevoli del fatto che queste comodità devastano interi territori nei “Paesi in via di sviluppo” (un ossimoro), lasciando quei popoli nella miseria e nelle malattie più terribili che si possano immaginare. Una Repubblica che permette tutto ciò non adempie a quanto sancito nella Costituzione, e favorisce il proliferare di un disordine mentale e sociale che appunto non ha niente di ragionevole. Ci sono partiti come la Lega Nord che campano alla luce del sole grazie a questi disordini, e altri che lo fanno subdolamente, ma ognuno di loro è accomunato dal fatto che si guardano bene dallo spiegare le ragioni per le quali questi popoli cercano la salvezza sulle nostre coste. Nessuno di loro mette mai in luce la necessità di cambiare le politiche economiche internazionali, poiché sono i primi ad arricchirsi, attraverso le loro multinazionali, da tali scempi.

Prendete il Governo italiano attuale, e le nomine che sono state appena fatte nelle società dello Stato: sono tutti privati imprenditori, con i loro legali e commercialisti al seguito, che hanno interessi miliardari nei Paesi più poveri della terra. Invito a verificare ogni nomina per avere un’idea degli interessi privati che ognuna ha, al di là delle dichiarazioni che i diretti interessati rilasciano. Ecco, in un clima politico del genere, l'”ignorante insensibile” continuerà a rafforzare l’opinione (“l’opinione infondata”) che ha nei confronti di coloro che sbarcano sulle nostre coste, e i partiti saranno lì pronti per prenderseli a braccetto e ad incrementare i loro sporchi affari sulla pelle di povera gente che non ha colpe, rassicurandoli che prima o poi prenderanno l’estrema decisione di affondarli in mare prima che riescano a raggiungere la nostra tanto amata Patria; perché la “persona umana” citata nella tanto sbandierata Costituzione, secondo loro, è solo quella che abita entro i nostri confini. E solo quella merita il diritto a una vita dignitosa.

Se esiste un Terzo Mondo, quello è presente nella testa di chi crede di avere la supremazia esistenziale; è vivo nelle menti di tutti coloro che al mattino si guardano allo specchio per celebrare se stessi, e non per cercare di comprendere gli altri attraverso sé, e i propri errori.

Sulla responsabilità sociale. Dall’opera: “Wozzeck”, di Alban Berg, Berlino 1925. Fonte letteraria: “Woyzeck” di Georg Büchner. (2ª parte)


Quel che risulta tanto terrificante nella “povera gente” è il Destino di cui sono, così evidentemente, delle vittime. Destino è il nome che attribuiamo agli avvenimenti che non possiamo né prevedere né prevenire: eventi che non desideriamo né causiamo. Il nome di qualcosa che ‘ci capita’, ma che non è riconducibile alla nostra volontà, e tanto meno alle nostre azioni; il nome dei cambiamenti di fortuna che ci piombano addosso che il proverbiale fulmine a ciel sereno. Il Destino ci spaventa precisamente per il fatto che è imprevedibile e inevitabile. Ci ricorda che esistono limiti a quel che possiamo fare per decidere delle nostre vite come vorremmo che fossero; limiti che non possiamo superare, cose che non possiamo controllare, per quanto affannosamente provassimo a farlo. Destino è la vera epitome dell’Ignoto, di qualcosa che non possiamo né spiegare né comprendere, ed è per questo che ci spaventa così tanto. Per citare Wittgeinstein, “comprendere” significa “sapere come andare avanti“; allo stesso modo, se accade qualcosa che non comprendiamo, non sappiamo cosa fare, e allora ci sentiamo sfortunati e vulnerabili, indifesi. Essere sfortunati è sempre umiliante, ma mai così tanto come nei casi in cui il Destino ci colpisce “individualmente“: quando sono “io stesso” quello che viene toccato, mentre gli “altri attorno a me” vengono oltrepassati dal disastro e continuano a procedere come se niente fosse accaduto. Altre persone sembrano essere riuscite a uscirne illese e senza conseguenze, mentre io ho fallito in modo esecrabile, dunque ci deve essere stato qualcosa di sbagliato in me, qualcosa che ha ‘invitato’ la catastrofe, che ha orientato il disastro nella mia direzione mentre altra gente, ovviamente più abile, perspicace e ingegnosa di quanto non sia io, l’ha evitata. Il sentimento di umiliazione erode sempre l’autostima e il senso di sicurezza di coloro che vengono umiliati, ma mai così profondamente come quando l’umiliazione viene sofferta in solitudine; in questi casi infatti all’ingiuria si aggiunge la beffa, l’insulto: si suppone che ci sia un’unità connessione tra il duro destino e i fallimenti individuali della vittima.

È per questo che Wozzeck cerca disperatamente di ‘de-individualizzare‘ sia la sua miseria che la sua inettitudine. E di riformularle semplicemente con un caso di sofferenza comune alla moltitudine della “povera gente“. Quelli che lo puniscono e lo deridono cercano al contrario di ‘individualizzare’ la sua indolenza. Non vorrebbero sentir parlare di “povera gente” e di destino comune. E cercano di addossare la colpa sulle spalle, personali, di Wozzeck, così come lui cerca disperatamente di de-individualizzare la sua sfortuna. Wozzeck, insistono rumorosamente costoro sperando di ridurre al silenzio la propria ansia, ha attirato la cattiva sorte su di sé. Con le sue azioni o con la sua inazione ha scelto il proprio destino. Noi invece, i suoi denigratori, scegliamo un diverso tipo di vita, e in questo modo non può capitarci la stessa miseria che è capitata a Wozzeck. In modo simile, recentemente un miliardario di Londra ha cercato di convincere duo curiosi giornalisti che la disparità tra il suo benessere e la povertà degli altri fosse dovuta interamente a ragioni di ordine morale:
“Parecchia gente ha lavorato bene perché voleva avere successo, e molta gente non l’ha fatto perché non lo voleva”.
Proprio così: chi vuol fare bene, lo fa, e chi non lo vuol fare, non lo fa.
Dubbi, premonizioni, sensazioni di ansia, tutto questo genere di cose, di qualunque tipo esse siano, vengono placate, almeno per un certo periodo: come le sconfitte di quanto falliscono sono dovute interamente ai loro difetti di volontà, così i miei successi sono dovuti interamente alla mia volontà e alla mia determinazione. Come Wozzeck deve nascondersi dietro il destino della “povera gente” per mettere in salvo quel che è rimasto della sua autostima, così il Capitano e il Dottore devono ricondurre il destino di Wozzeck alle nude ragioni dei suoi fallimenti individuale per mettere in salvo quel che è rimasto della loro sicurezza di sé.

Come ha sottolineato Aristotele quasi due millenni e mezzo fa, non si può essere umani, e se lo si è non si può sopravvivere, al di fuori di una ‘polis’; e ha aggiunto che solo gli angeli e le bestie possono esistere al di fuori di una ‘polis‘. Scorate deve essere stato della stessa opinione, dal momento che, non essendo né un angelo né una bestia, ha preferito una ciotola di cicuta all’esilio da Atene.

(Fine 2ª Parte)-(Torna alla 1ª Parte) (Vai alla 3ª parte)

Vita di classe: cosa è cambiato?


Negli anni settanta la società era nettamente divisa in classi sociali. In linea di massima, a partire dal ceto medio fino ai livelli più elevati si aveva un’aspettativa di vita più lunga, meno malattie (sia di natura mentale che fisica), un’istruzione superiore, un reddito annuo maggiore, un livello di “felicità” più alto, meno divorzi e una vita sessuale più varia e ricca di fantasia (strano ma vero) rispetto ai ceti più bassi. Ma c’è di più. C’era un’ulteriore differenziazione nei comportamenti illegali. Coloro che appartenevano ai ceti più alti commettevano reati di natura finanziaria: evasione, truffa, frode, reati contro il patrimonio, appropriazione indebita di fondi e altre operazioni finanziare. I ceti più bassi commettevano di più reati che implicavano l’uso della violenza: furti e rapine al primo posto. Non vanno dimenticate le “discriminazioni giudiziarie di classe”: chi apparteneva a una bassa estrazione sociale faceva fatica a (o non poteva affatto) difendersi in un’aula di tribunale, mentre le classi più alte, che erano molto più in grado di assicurarsi un’assistenza legale più competente, non trovavano difficoltà.
Appartenere ai ceti più elevati significava quindi avere un futuro più roseo: maggiore istruzione, che consentiva loro di trovare un posto di lavoro ben retribuito, assistenza sanitaria di qualità, di conseguenza una vita più sana e più lunga. Ai ceti bassi invece era riservato un futuro tutt’altro che promettente, men che meno sano.

Secondo voi oggi è cambiato qualcosa? Se sì cosa? Sono state abbattute le disuguaglianze e le discriminazioni tanto promesse e sventolate in oltre quarant’anni di campagne elettorali? L’istruzione è ancora valida per garantirsi un futuro? (Questa potevo risparmiarmela)

In ultimo, una considerazione semantica sull’uso del termine “violenza” inerente ai comportamenti illegali:
trovo più violenti reati come l’evasione, la truffa, la frode fiscale, i reati contro il patrimonio, l’appropriazione indebita di fondi e altre operazioni finanziare rispetto a quelli commessi da chi viene “costretto” a commettere illegalità da un sistema sociale profondamente e volutamente discriminatorio. È certo che reati di natura finanziaria aumentano le disuguaglianze poiché privano la macchina sociale delle risorse necessarie per abbatterle, ovvero privano i cittadini meno abbienti dei diritti fondamentali che dovrebbero essere loro garantiti. Una vita dignitosa non è un comfort riservato ai più abbienti, ma un diritto che deve essere garantito a tutti, indiscriminatamente.