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NO, NON STA ANDANDO TUTTO BENE


Conte e Fedez

A proposito di Fedez, Ferragni e Conte, quello che secondo me non si è capito bene è il fatto che se il governo di una nazione sente il bisogno di interpellare personaggi come loro per raccomandare l’utilizzo della mascherina ai giovani può solo significare che siamo messi veramente male.

Gesti come questo servono in realtà a dare autorevolezza sociale a questi personaggi che, onestamente, non servono assolutamente a niente: sono l’emblema dell’inutilità. Non ho niente contro di loro, ma oggettivamente sono un esempio suffragato dal nulla, e questo nulla sconfinato da quel preciso momento è stato formalmente legittimato (o consacrato) a radicarsi e diffondersi sostituendo di fatto la cultura tradizionale degli uomini. Adesso possiamo dire che, essendo stati questi signori chiamati a divulgare il rispetto di normative in piena pandemia mondiale, tutto il nulla assoluto che realizzeranno sembrerà ancora più colmo che in passato, data l’importanza conquistata.

Uno Stato che ufficialmente affida il compito di educare la popolazione al senso civico ad un influencer e ad un cantante significa che prende atto che la scuola e tutti gli strumenti di cui storicamente si serviva per diffondere informazioni ed educazione non servono più a nulla. Inutile cercare di rafforzarli investendo affinché ci sia maggiore auterovelozza ed efficacia comunicativa attraverso questi strumenti, no, si cavalca e anzi si ratifica questo modello culturale completamente inutile.

I nostri figli ambiscono a fare i cantanti, rincorrono i “mi piace” e desiderano followers per realizzare il sogno di diventare influencer. Mentre noi ci domandiamo che fine hanno fatto i valori, qualcuno al posto nostro orienta l’attenzione delle nuove generazioni verso un modello sociale che desidera se stesso così com’è, privo del senso di appartenenza ad un mondo che poteva avere le potenzialità per diventare migliore, non attraverso i followers ma attraverso la formazione, la cultura millenaria di un pensiero critico che ha creato capolavori che si stanno dissolvendo sulle note di un inno alla spettacolarizzazione del vuoto lasciato dalla mancanza di esperienza di un popolo ormai abbandonato a se stesso.

Fedez e Ferragni sono i nuovi divulgatori del senso civico, del senso di responsabilità, del senso si appartenenza. Prendiamo atto del fallimento non solo di uno Stato, ma di un intero modello sociale al quale non rimane altro che cercare ispirazione all’interno di un contesto degradato e degradante nel quale sta affogando.

Ed è esattamente quello che sta (stanno) facendo nell’affrontare una pandemia che sta mettendo in ginocchio il mondo intero. Anziché rafforzare il complesso di elementi indispensabili a mantenere in piedi l’organizzazione sociale, punta a disgregarla sempre più compiendo scelte completamente fuori da ogni logica. A più contagiati equivangono più morti, pertanto oltre alle misure precauzionali c’era solo da intervenire potenziando le uniche strutture indispensabili in casi come questo: sanità e istruzione. Nulla di tutto questo è stato rafforzato. Nemmeno in una piccola significatica parte. E neppure le misure precauzionali sono state accettate da buona parte della popolazione dal momento che ormai lo Stato ha perduto ogni forma di autorevolezza nei confronti di cittadini ormai esausti e abbandonati sul baratro. E l’unica domanda che riesce a porsi, in tutto questo delirante nulla, è “quali influencer potrei consultare per diffondere il senso civico?

No, non sta andando tutto bene.

Siamo sempre meno bravi nel darci la possibilità di tacere


A tutti coloro che non perdono mai occasione di schierarsi con le unghie e con i denti, e nemmeno quella di tacere.

Non è mai stato facile per nussuno fare l’educatore. Bisognerebbe andare a scavare fino alla settima generazione di ognuno per capire di chi è la colpa. Un ragazzo fa una rapina, e allora la colpa è dei genitori che non sono stati in grado di educarlo, e per lo stesso principio a loro volta hanno avuto padri e madri che li trascuravano, che di conseguenza hanno avuto la stessa sfortuna, perché altrimenti i loro figli non avrebbero trasmesso ai discendenti le loro lacune. E così via, fino alla preistoria.

Comprendere che i mali della nostra società arrivano da lontano è fondamentale, ma circoscrivere alle singole famiglie le colpe di un degrado diffuso è profondamente insufficiente come riflessione. E allora mi chiedo perché dovrebbero esistere uno Stato, una Costituzione, delle Leggi, un Sistema Formativo? A cosa dovrebbe servire una Istituzione del genere se poi, alla fine, la colpa del degrado è da imputarsi sempre agli individui e mai alla debolezza del Sistema nella sua complessità?

Allora se uno Stato schiacciasse dalle tasse il proprio popolo verrebbe facile pensare che quel popolo, pur di non farsi schiacciare, evaderà le tasse creando le basi per la corruzione. Il concetto è che se i reati e il degrado aumentano può solo significare che lo Stato non è in grado di funzionare come dovrebbe. Non è in grado di educare il proprio popolo.

Scaricare la colpa sul singolo individuo (che pure ha colpe, ma non lui soltanto), e concentrare l’attenzione giudicando la singola azione significa sollevare di ogni responsabilità un Sistema che avrebbe dovuto per primo evitare l’evolversi del degrado, che si manifesta soprattutto attraverso episodi come quelli che la cronaca racconta ogni giorno.

Siamo tutti bravi dare giudizi, ma siamo meno bravi in un’infinita di altra roba. Soprattutto siamo sempre meno bravi nel darci la possibilità di tacere.

Coronavirus: informare significa condizionare


La funzione dei Media tradizionali e moderni, è quella di informare. “Informare” non ha necessariamente l’accezione di buono, favorevole, utile, vantaggioso, ma anche i suoi contrari. E devo dire che oggettivamente siamo arrivati a livelli davvero angoscianti.

Tutto quello che sta accadendo attorno alla vicenda del Coronavirus conferma e rafforza ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno, che i social network hanno dato parola ad un esercito di ignoranti pronti a condividere la propria incapacità. Con le aggravanti, peculiari nell’ignoranza, della spontaneità e della istintività, che amplificano tutto in maniera smisurata.

Purtroppo l’unico virus letale in grado di uccidere milioni di persone nel più breve tempo possibile su questo pianeta si chiama proprio ignoranza.
Condividete, dicevano. La condivisione sarà la nostra salvezza, dicevano.

I Media hanno uno scopo… Non è certo mai stato quello di renderci migliori.

Fremiamo tutti quanti di conoscere, di sapere, di capire, però tutti condividiamo prima di conoscere, di sapere, di capire, e lo facciamo attraverso canali che per primi non conoscono, non sanno, non capiscono, e non hanno alun interesse a farlo, ma soprattutto noi non conosciamo.

Buona fortuna a tutti.

La civiltà delle realtà artificiali


Far vedere. Rendere presente. Connessioni. Costruzione di testi. Messa in scena. Messaggi. Corpo immateriale. Parola virtuale. Reti. Immagine. Danza rituale del video. Socializzazione. Rappresentazione tribale. Artificio. Materiali espressivi. Realtà piegata. Realtà costruita. Realtà artificiale. Sentimenti piegati. Sentimenti costruiti. Sentimenti artificiali.
Sono tutte parole, concetti, assunti nuovi, attuali, che noi tutti affrontiamo quotidianamente, anche senza volerlo; soprattutto senza saperlo. Cosa è cambiato, e cosa sta cambiando? Il mezzo come strumento semplificativo della vita è diventato il mediatore rappresentativo della vita: viviamo attraverso il mezzo, dentro il mezzo; il mezzo ci trasforma, sostituisce, insegna la vita. Non impariamo più la vita per utilizzare il mezzo, ma attraverso il mezzo impariamo la vita.

La dialettica soggetto-individuo/oggetto/società/comunità/natura si svolge sempre più sulla superficie, sull’aura del prodotto di consumo, rivelando che tutto è mutazione, alterazione, sostituzione, manipolazione, dentro cui la realtà materiale può essere rappresentata, riprodotta, inscenata, realizzata artificialmente. Prima essa è una realtà prodotta con ancora sostanziali legami con il mondo naturale, infine è una realtà prodotta attraverso oggetti che mirano ad escludere ogni nesso sostanziale, materiale, con la natura.

La realtà è dunque il “soggetto” nel suo abitare le immagini, che esso produce per dar senso a se stesso e alle cose. Immagini, si badi bene, non nel senso distintivo di linguaggi iconici, ma più esattamente di rappresentazioni artefatte, contraffatte, eretiche, infedeli alla comprensione ancestrale dell’immaginazione della realtà. Siamo finiti nella civiltà della realtà artificiale. La immaginiamo, viviamo, rappresentiamo: la rendiamo reale. Tanto reale da escluderla vivendola.

Ne risente così la percezione quotidiana delle cose, il senso che attribuiamo alle persone, ai ricordi, alle immagini, conferendo loro sentimenti di prossimità, affinità, relazione, o di distanza, distacco, assenza. E più questo processo surrogatorio si compie, per effetto stesso della sua logica di sviluppo, più cresce anche l’artificializzazione del mondo, e con essa crescono le mediazioni tra il soggetto e la natura, con la conseguente riduzione della partecipazione/presenza simbolica della natura: non si consuma più qualcosa che deve produrre l’effetto della realtà, ma produciamo noi stessi qualcosa da consumare immediatamente come realtà.

Quanto più la macchina degli artifici cresce, tanto più potente, intensa, s’è fatta la percezione intima dei limiti. Limiti che non dipendono più dall’individualità, dalla conoscenza, dalla scoperta e comprensione della nostra personalità, ma dall’intendimento che si ha della conoscenza stessa. È il quotidiano rincorrere la propria identità a separarci da essa. Una lotta tra individuo e artificio che richiama in noi scene primordiali, antiche paure, ignoti smarrimenti: chi siamo? Da dove veniamo? Che cosa ci facciamo qui? Dove stiamo andando? Perché? Domande in metamorfosi: Sono io questo? Chi desidero essere? Da dove desidero essere venuto? Dove desidero andare? Chi, o cosa, chiarisce i miei perché?

Questa, è la civiltà delle realtà artificiali.