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Siamo sempre meno bravi nel darci la possibilità di tacere


A tutti coloro che non perdono mai occasione di schierarsi con le unghie e con i denti, e nemmeno quella di tacere.

Non è mai stato facile per nussuno fare l’educatore. Bisognerebbe andare a scavare fino alla settima generazione di ognuno per capire di chi è la colpa. Un ragazzo fa una rapina, e allora la colpa è dei genitori che non sono stati in grado di educarlo, e per lo stesso principio a loro volta hanno avuto padri e madri che li trascuravano, che di conseguenza hanno avuto la stessa sfortuna, perché altrimenti i loro figli non avrebbero trasmesso ai discendenti le loro lacune. E così via, fino alla preistoria.

Comprendere che i mali della nostra società arrivano da lontano è fondamentale, ma circoscrivere alle singole famiglie le colpe di un degrado diffuso è profondamente insufficiente come riflessione. E allora mi chiedo perché dovrebbero esistere uno Stato, una Costituzione, delle Leggi, un Sistema Formativo? A cosa dovrebbe servire una Istituzione del genere se poi, alla fine, la colpa del degrado è da imputarsi sempre agli individui e mai alla debolezza del Sistema nella sua complessità?

Allora se uno Stato schiacciasse dalle tasse il proprio popolo verrebbe facile pensare che quel popolo, pur di non farsi schiacciare, evaderà le tasse creando le basi per la corruzione. Il concetto è che se i reati e il degrado aumentano può solo significare che lo Stato non è in grado di funzionare come dovrebbe. Non è in grado di educare il proprio popolo.

Scaricare la colpa sul singolo individuo (che pure ha colpe, ma non lui soltanto), e concentrare l’attenzione giudicando la singola azione significa sollevare di ogni responsabilità un Sistema che avrebbe dovuto per primo evitare l’evolversi del degrado, che si manifesta soprattutto attraverso episodi come quelli che la cronaca racconta ogni giorno.

Siamo tutti bravi dare giudizi, ma siamo meno bravi in un’infinita di altra roba. Soprattutto siamo sempre meno bravi nel darci la possibilità di tacere.

Linguaggio abbreviato: sbagliando s’impara a sbagliare


Il linguaggio abbreviato accorcia la vita alla ragione.

Scrivere non è l’unica forma di linguaggio espressivo che abbiamo, è vero, ma sforzarsi di farlo meglio, se non bene, in ogni circostanza, non solo rafforza l’efficacia, l’incisività di quel che vogliamo comunicare, ma anche preserva, aiuta a custodire uno dei beni più preziosi di cui gode l’essere umano; un bene conquistato attraverso un processo evolutivo lungo e complesso che ci portiamo dentro e che tramandiamo di generazione in generazione; è parte di noi: ci fa contenenti, non soltanto contenitori.

Quel che è certo, è che con l’avvento delle nuove tecnologie questa forma espressiva sta andando sempre più sciupandosi, storpiandosi, deformandosi, spogliandosi, amputandosi, standardizzandosi a un modello sociale che, come spesso ripeto, esorta a tener conto della sola superficie anziché del contenuto. Esprimiamo perciò attraverso il linguaggio, affermiamo nel modo di parlare, la nostra disumanizzazione. Il linguaggio di oggi si “articola” in modo tale che venga utilizzato un significato abbreviato che blocca lo sviluppo del contenuto, e che ci spinge ad accettarlo come l’unica forma da apprezzare.

Il linguaggio abbreviato, e ripetuto assiduamente, fissa l’analisi abbreviata nella nostra mente e in quella del destinatario. Riducendo il linguaggio costringiamo il pensiero in uno spazio limitato. Oggi pensiamo e ci esprimiamo attraverso slogan che “scarnificano” l’analisi. La politica per prima si esprime utilizzando slogan persuasivi e noi, costretti ad ascoltarli poiché meticolosamente ripetuti, li approviamo e avvaloriamo erigendoli a metodo, giusti, sinceri, verità.

Nelle chat dei social network, oppure quando inviamo un messaggio dal cellulare, la tendenza è quella di tagliare le parole, riassumere concetti, sintetizzare frasi quanto più è possibile, di “onomatopeizzarle” per renderle ancor più brevi.

L’accorciamento della sintassi è la rovina del linguaggio espressivo: reprime lo sviluppo del significato, limita le capacità cognitive e pietrifica con concretezza sopraffattoria l’estensione della riflessione. Nel marketing l’immagine prevale sul contenuto, e lo slogan sull’analisi, di conseguenza una forma espressiva sprovvista di una corretta sintassi minimizza l’autorevolezza del contenuto. Ciò, oltre a rendere poco comprensibile ai nostri interlocutori quanto vogliamo comunicare, ci abitua a tralasciare sfumature che renderebbero più vigoroso, intenso e penetrante il linguaggio. Questo chiaramente vale anche per quel che concerne la punteggiatura, che pare non essere mai esistita. Una corretta punteggiatura dà il giusto tono alle nostre frasi, che altrimenti parrebbero atonali o stonate, senza sfumature anch’esse.

Oggi più che mai incombe la necessità di riprendere ad esprimerci come un tempo, di tornare ad apprezzare una qualità conquistata, ereditata, acquisita, avvalorata da grandi scrittori e oratori che hanno segnato profondamente l’esistenza umana, regalando alla storia opere d’arte senza tempo.

I gesti ripetuti diventano prassi, norma, senza che a nessuno venga imposto e nessuno imponga nulla esplicitamente, e se sono gesti sbagliati, ripetendoli non possiamo far altro che imparare a sbagliare, non a migliorare. Difendiamo la scrittura. Sempre. Non adattiamoci ai metodi persuasivi del marketing. Di sicuro c’è che a trarre vantaggio da questo modo di apprende ed esprimerci, non siamo noi.
“Errare humanum est, perseverare diabolicum”.