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L’autocelebrazione


L’autocelebrazione inganna l’autostima; è l’ammirazione verso il contenitore alienato dal contenuto. È il comportamento artificioso con cui il narcisismo esprime se stesso; è specchiarsi per guardarsi intorno agli occhi. È l’autoscatto degenerato in selfie. È la perversione del sé. È la convinzione di essere speciali emulando un mondo di replicanti. È pretendere il riconoscimento egemone della propria diversità escludendo l’uguaglianza; è rivendicare la propria diversità a svantaggio delle varietà. L’autocelebrazione non è analisi ma sintesi. È voler scrivere un capitolo di un libro che non si è letto. È ambire ad esser conosciuti, non a conoscere; è fare pubblicità a se stessi, è annuncio, propaganda, è la mercificazione dell’Io che diventa un articolo su uno scaffale: è il soggetto che diviene oggetto. L’autocelebrazione è in eterna competizione per aggiudicarsi il primo posto, perché arriva sempre al secondo.
“Nulla è più terribile dell’ignoranza attiva”.

Johann Wolfgang von Goethe

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C’è chi può, chi non può, e chi non è interessato


Ci vorrebbe un tetto alle ambizioni, per riportare tutti ai piedi della montagna. Non alle emozioni ma alle ambizioni; che sono due elementi che mai si sono conosciuti e mai s’incontreranno, se non per competere, sconfiggersi e annullarsi a vicenda.
Ci vorrebbe un sostegno concreto alle condizioni favorevoli; non per aspirare ad elevarsi materialmente e indefinitamente, ma per restituire consapevolezza all’uomo del fatto che tutto l’eccesso è effimero, destinato a non durare, e innanzitutto a togliere qualcosa a chi non è vicino e caro.

L’ambizione non è cosa da tutti, ma invece tutti ci ostiniamo follemente a credere che ogni cosa sia possibile. “Non tutti” si possono permettere l’ambizione, e “non a tutti” piace inseguirla. “Non tutti” hanno le capacità fisiche e spirituali adatte a scalare una montagna: “non tutti” sono alpinisti. L’umanità è così varia e variegata che anche solo supporlo dimostra quanto nella sua porzione malata ci sia il desiderio di controllare, dominare e soffocare la parte sana, come fa un qualsiasi virus influenzale, e come hanno fatto tragicamente in un recente passato fascisti e nazisti; che hanno lasciato indubbiamente sedimenti. Presupporre che tutti debbano essere uguali è espressione di una forma mentis che ritiene di “possedere” la superiorità assoluta per sancire che tutti possono farcela, e giudicare inadatto e inutile chi invece non riesce, o non è interessato, di fatto, a “farcela”. Il fatto che una persona riesca a raggiungere le proprie aspirazioni, non autorizza a ipotizzare che anche gli altri siano in grado di fare altrettanto. Questo comportamento si chiama “presunzione“. La supponenza non è altro che il risultato d’un processo involutivo che ci ha condotti verso l’inconsapevolezza delle infinite sfaccettature dell’essere umano.

I modelli imposti generano verso noi stessi, e nei confronti degli altri, un’aspettativa che sempre più spesso si rivela irrealizzabile. Aspiriamo a quei modelli, ma senza avere le condizioni sociali favorevoli, né le capacità individuali adatte ad inseguirli, giacché il progresso culturale interiore è stato accuratamente contenuto in uno spazio che non va oltre l’ambizione personale, egoistica e assetata di carriera. Oggi siamo inadatti a fare scelte sagge, e in esse non riusciamo a tener conto delle conseguenze che le nostre precarie ed effimere aspirazioni, e le azioni derivanti, hanno sull’insieme.

Ci dicono che possiamo scegliere, ma non abbiamo scelta quando ci è possibile optare soltanto di fronte a infinite cose inutili. E di fatto sono sempre scelte che impoveriscono, “inconsapevolizzano” culturalmente noi, ma che arricchiscono materialmente un capitalismo senza regole morali né legislative.

Come si fa ad arrogarsi del diritto di pensare che tutti ce la possano fare allo stesso modo, se non tutti hanno le capacità individuali e i mezzi per farlo? C’è chi può, chi non può, e chi “non è interessato” a rincorrere con ansia un mondo sempre più irraggiungibile, ansioso e bramoso. Non ci sono solo “quelli che possono”, e dall’altra parte quelli che “non hanno voglia”. La mente umana è infinitamente divisa in opposti; non si riduce banalmente nell’emettere giudizi pretestuosi, falsi, infondati, nei confronti degli altri. Per fortuna.
L’identità e la realizzazione personale di ognuno di noi non va ricercata nella carriera, ma nell’accettare le diversità sociali e individuali, nel rispettarle, e nel fare in modo che tutti abbiano la possibilità di esprimerle senza rischiare d’essere giudicati inadatti o falliti, e di ritenersi tali. Essere consapevoli delle diversità che “esistono nonostante noi”, sarebbe un grande passo verso il riconoscimento della dignità.

L’egotista


L’egotista è colui che ha la tendenza a considerare l’interesse personale come base del comportamento. Si dimostra altruista, se a trarne profitto sa che sarà il suo ego; è sensibile, attratto, a volte curioso, suscettibile alla folgorazione e a sua volta folgorante; il tempo sufficiente ad avvalorare e riconfermare le doti intellettuali che suppone di avere: ha bisogno di frequenti certezze, è insicuro e ha un intimo complesso di inadeguatezza. L’egotista si intrattiene con gli altri, quasi sempre per compiacersi: predilige il suono della sua voce; è sofferente e tormentato, soggetto a continui abbassamenti d’umore, generalmente quando non riesce a soddisfare il suo ego. Si approfitta dell’altrui bontà, illudendo e seducendo, pur di trovarsi al centro della scena; l’egotista una volta raggiunti i suoi scopi smette di recitare la sua parte, perde l’interesse nei confronti degli altri, tace o si allontana con un pretesto; pretesto di cui lui per primo ha esigenza, non riuscendo ad essere onesto. L’egotista è spesso all’oscuro della sua pur evidente richiesta di centralità, a volte invece ne è perfettamente consapevole e anzi lo esibisce con risolutezza poiché convinto di essere nel giusto. È in carriera, e non esita a farsi largo tra la folla con astuzie e spintarelle: tutto ciò che è d’ostacolo sul suo cammino lo supera con freddezza pur d’avere successo nelle sue ambizioni; ambizioni che devono necessariamente attestare le sue capacità. L’egotista immancabilmente sfoggia la sua esistenza, la sua bontà, comprensione e capacità, senza però accrescere, arricchire, valorizzare effettivamente tali qualità per il bene comune, ma solo ed esclusivamente per un suo tornaconto personale. L’egotista, a differenza dell’egoista, è colui che essenzialmente inganna se stesso.