La prima cosa che un libro insegna è come stare in solitudine, poi ad apprezzarla, a conversarci, spesso per questo privilegiandola, in quale posizione la si gradisce di più, e a portarla a spasso a volte facendole fare i suoi bisogni come un cane. Ma quel che involontariamente insegna un libro, un buon libro, è a leggere e scrivere, sia concretamente che intellettualmente.
La prima cosa che Facebook insegna è come fare i selfie, poi è un crescendo di: guardare e condividere prevalentemente video, leggere le notizie a metà, cliccare sui titoli sensazionalistici e condividerli di volta in volta, non approfondire, non verificare, come dimenticarsi della grammatica, della sintassi, della coerenza, della logica, dei familiari, come far perdere di significato la parola “amicizia”, come dire senza un briciolo di vergogna che non si è razzisti e che non si fanno discriminazioni però prima vengono i nostri figli e poi tutto il resto del mondo se c’è tempo altrimenti può anche crepare, come far gli auguri a persone che non conosci ed augurare ad altrettante la morte. Alimenta l’ignoranza e la diffidenza poiché elementi presenti in chi, statisticamente, lo utilizza con più frequenza. Facebook, in ultima analisi, è il luogo in cui spesso la solitudine assume aspetti inquietanti, perciò insegna a diffidare di se stessi e ad evitare accuratamente di rimanerci da soli, e, non da ultimo, a leggere e scrivere male, concretamente e intellettualmente.