La solitudine, la condizione stessa che sosteneva l’individuo contro ed oltre la sua società, è divenuta tecnicamente impossibile. L’analisi logica e linguistica sono diventati problemi metafisici illusori; la ricerca del “significato” delle cose viene riformulata come ricerca del significato di una singola parola, estraniata, dissociata, isolata dall’insieme. L’universo del discorso e del comportamento si restringe ad un mero adeguamento, nonché rassegnazione, alla risposta pronta, già confezionata e pronta all’uso, fedele alla farsa dell’immagine, dell’apparenza, della facciata di una società frettolosa che tutto lascia alle spalle e nasconde del contenuto, poiché questo non ha più ragione d’essere. È un universo razionale, che blocca ogni “sogno reale” entro i confini, solo in apparenza sconfinati, della sua struttura meccanicista. La domanda, la ricerca, la curiosità, il dubbio, non abitano più l’interno del corpo, ma l’epidermide, l’involucro che separa con sempre più forza, oblia e assopisce con sempre più metodo, le profondità dell’uomo. La solitudine, questa odiosa e spaventosa, ragionevolmente non ha più motivo d’essere considerata, tantomeno mediata, allora tutto muove e scivola sulla superficie ornamentale dell’esistenza. Un rifiuto alla comprensione, alla consapevolezza e all’esperienza, tali che non vogliamo e contemporaneamente non possiamo respingere, poiché il compenso assicurato sembra dare più soddisfazione che non il suo rifiuto stesso. Così la cultura ha luogo su una base materiale di accresciuto appagamento, effimera, come la durata stessa della soddisfazione, che andiamo cercando assiduamente esortati dall’irraggiungibile desiderio di “essere quel qualcosa” dal quale siamo circondati, non più “qualcuno“, che oggi degrada come un semplice materiale logorato e diventato inutile.
La solitudine, che un tempo cercava domande e trovava risposte nelle pieghe dell’anima, oggi è sostituita spensieratamente da strumenti che avviliscono la sua scoperta, l’esplorazione di quell’universo che esiste nelle profondità, in quelle intimità che solo ascoltandole e meditandole hanno almeno una possibilità di emergere.
È vero che il mondo è un mondo spietato e avido, che sfrutta, inganna e mente, e noi siamo gli ingannati che esprimono quest’inganno, di cui impariamo a conoscere le cause, non per farvi fronte e ritrovare la verità dei nostri sogni, ma per adattarci e ingannare, e ingannarci, a nostra volta.
«Vedi la luna su Soho, amor mio?»
«Un giorno ancora, e il giorno fu azzurro».
«Allora era sempre domenica».
«E una nave con otto vele».
«Vecchia luna di Bilbao, laggiù dove ancor abita l’amore».
Da “L’opera teatrale da tre soldi“, di Bertold Brecht