“Bisogna avere più cervello e meno cuore…”, perché siam bravi tutti a parole

Dicono che non siamo razzisti ma xenofobici, poiché la xenofobia è la paura dello straniero (quella che con tanta veemenza ci viene attribuita), mentre il razzismo si esprime con un sentimento di odio verso una determinata etnia. Pensandoci bene, però, cos’altro potrebbe mai essere, se non odio, quel sentimento che ci induce a pensare che i respingimenti in mare degli immigrati sono l’unica politica perseguibile? Abbiamo forse paura degli americani in vacanza? Dei turisti giapponesi o cinesi? I tedeschi non ci facevano paura quando in massa venivano in villeggiatura da noi, come pure i ricchi russi di oggi non ce ne fanno, eppure anch’essi sono stranieri. Non sarà che discriminiamo solo chi non ha denari da spendere? Non proviamo forse odio verso coloro che “invadono” il nostro territorio privandoci delle risorse? Siamo disposti a lasciarli egoisticamente al loro destino certo di morte e violenze, e non vogliamo ammettere che si tratti di odio? Siamo certi non si tratti di una grande ipocrisia?

La xenofobia è come l’aracnofobia o la musofobia (la paura dei topi) e, come tutte le “fobie” conosciute fino ad oggi, che possono manifestarsi più o meno acutamente, esprimono repulsioni perlopiù ingiustificate verso qualcosa o qualcuno: proviamo a mettere un ragno davanti agli occhi di un aracnofobico e osserviamone le reazioni. Se andiamo in un ristorante costoso e ci mettiamo accanto al tavolo dove è seduto un africano pieno di soldi vestito in giacca e cravatta, viene mica da pensare di scacciarlo via? Eppure è uno straniero, e uno straniero con i soldi non è pur sempre uno straniero? E i ragni di qualunque specie non sono pur sempre ragni? Si penserà allora che non si tratta nemmeno di razzismo, ma non è proprio così. Anche razzisticamente, paradossalmente, facciamo discriminazioni. Negli ambienti comuni non conta più il colore della pelle o la provenienza etnica di taluni ma quello dei fogli di carta dentro i loro portafogli. Il razzismo oggi è andato oltre la razza e la xenofobia è andata oltre lo straniero: sono entrambi sentimenti liquidi (che si conformano in base alle circostanze) che trovano sempre più motivazioni nei conti in banca. Le razze sono due e sono valutate distintamente in base alle disposizioni economiche di ognuno, così il povero viene implicitamente sistemato all’interno della “razza inferiore” o marginale, mentre il ricco in quella “superiore” o centrale. Tuttavia a un bambino povero italiano concediamo più volentieri il diritto di vivere rispetto a un bambino straniero nelle stesse condizioni: “prima vengono i nostri bambini” è il mantra in voga negli ultimi anni. Se non ci importa della sofferenza di un povero bambino straniero, come ci potremmo definire? Non sono tutti uguali i bambini? Ci dichiariamo contro la vivisezione, gli stupri, la pedofilia, gli omicidi, i femminicidi, i genocidi, ma siamo pronti a girarci dall’altra parte davanti alla prova dei fatti. Ciò dimostra chiaramente il clima di contraddizioni nel quale siamo caduti, e quanto bravi sappiamo essere a parole.

Ci troviamo così difronte a un modo inconsueto di considerare il prossimo. L’aumento delle discriminazioni ha fatto sì che questo genere di valutazioni immotivate prendessero il sopravvento, al punto che il carattere umano di ciascuno venisse oscurato prima dalla provenienza etnica, poi dalle apparenze e infine dalle sole possibilità economiche. È un pensiero sempre più comune, infatti, ritenere capaci e degne solo le persone che dimostrano di possedere la volontà di arricchirsi e avere successo all’interno della società.

Siamo dunque tutti un po’ xenofobi, un po’ razzisti, un po’ egoisti, ma soprattuto nazionalisti e disumani, però nessuno sa più come autodefinirsi, perciò devono suggerircelo: da soli non ne siamo più capaci.

Dopo le recenti elezioni europee, uno dei messaggi più chiari che il popolo ha espresso è stato quello di voler chiudere le frontiere. Dopo anni che i mezzi di comunicazione di massa presentano all’opinione pubblica rivolte, violenze, attentati, massacri, che avvengono nei paesi più poveri descrivendoli implicitamente come gli effetti provocati da popoli e culture inferiori alla nostra, incapaci di farsi governare, adatti solo a parassitare d’elemosina — essendo esseri intellettualmente inetti —, dediti alla sottomissione e all’annullamento del sesso femminile, abituati a vivere dentro baracche igienicamente lontane millenni dalle nostre moderne case con giardino e sanitari, a non lavarsi e a non cospargersi di creme di bellezza, a mangiare con le mani sporche di terra… quella terra che esiste sempre meno nell’immaginario collettivo del popolo europeo… dicevo, dopo anni di oppressione attuata dalla propaganda di regime, siamo finalmente pronti a scegliere di essere ciò che ci è stato viscidamente imposto.

Parliamo del limbo in cui è caduta la coscienza rispetto a fatti avvenuti negli anni delle Guerre, del fascismo, durante i quali fu messa in atto una delle oppressioni più violente che l’umanità abbia mai conosciuto, e che dovremmo aver desiderio di ricordare proprio per non dimenticare le atroci sofferenze che le generazioni passate furono costrette a subire affinché non si ripetano. Tuttavia, ricordare un’evento è oggi una pratica buona solo a scrollarci di dosso la responsabilità che abbiamo proprio per evitare che simili disumanità ricompaiano sulla scena della civiltà: ricordiamo limitatamente, in maniera contenuta, circoscritta, in un determinato giorno dell’anno, fatti e avvenimenti che invece meriterebbero di essere affrontati facendo lo sforzo di immergerci “empaticamente” nel clima sociale di quegli anni.

Oggi molti hanno dubbi (molti altri non sanno nemmeno di cosa stia parlando), ad esempio, sulla responsabilità diretta dell’Italia e di Mussolini nell’esplosione della Seconda Guerra mondiale che, ricordiamolo, fu dichiarata di comune accordo dal governo fascista e da quello nazista tedesco. Furono oltre 56 milioni i morti su tutto il pianeta, e in gran parte civili, ma i civili non erano solo tra i morti, poiché molti altri sostennero la dittatura, come quelli che riempivano le piazze italiane per esprimere amore e sostegno al Duce. E i dubbi sono proprio figli di coloro che hanno fatto di tutto per mantenere vivo il ricordo di un fascismo “utile ed efficiente”, omettendo, naturalmente, o arrivando perfino a giustificare, tutte le nefandezze di cui si è macchiato. Forse questo lo abbiamo dimenticato, e forse proprio perché nessuno lo ricorda mai abbastanza, quasi a voler nascondere l’errore per sottrarsi dall’impegno quotidiano dell’ammenda, che interessa ognuno di noi, nessuno escluso. E abbiamo dimenticato anche quanti furono gli italiani fuggiti all’estero durante il periodo nazifascista. Consideriamo solo che dopo la Liberazione rientrarono nelle case, 20 mesi più tardi, i 200.000 partigiani e i circa 500.000 italiani nascosti o fuggiti all’estero nonché i 1.360.000 prigionieri sparsi in tutto il mondo, senza contare quelli che sono rimasti e mai più tornati, fondando e radicando comunità in ogni angolo di esso. Come poteva essere la vita in un paese in quelle condizioni?

Emerge così il problema dell’informazione. Abbiamo, in Italia, ma non solo, dei poteri che controllano i media e tutto quello che ci passa dentro, che sono arrivati a sconvolgere la realtà e la storia con una efficacia pari solo al periodo propagandistico nazifascista. Alcuni di questi sono così spudorati da essere capaci perfino di spacciarsi come le vittime delle campagne mediatiche. Abbiamo giornali, televisioni, convegni, che diffondono in abbondanza la propaganda egemone-nazionalista, riuscendo a offuscare valori e ricordi che piuttosto andrebbero custoditi con cura e rispetto. Il risultato è che si è delineato un vero e proprio odio nei confronti di chi chiede aiuto, non solo verso lo straniero: odiamo “la razza inferiore in difficoltà” poiché la consideriamo un’ostacolo per il nostro benessere. Siamo xenofobici, dicono, ma la verità è che si tratta di un po’ di tutto: razzismo, xenofobia, nazionalismo, disumanità.

Sorprendono, per esempio, le enormi contraddizioni che emergono fra tutti coloro che si dichiarano solidali, e che ritengono personaggi come Grandhi, Papa Francesco, Madre Teresa di Calcutta, modelli di umanità da seguire e emulare, quando invece alla prova dei fatti viene a galla quel che in realtà sono diventati: dei perfetti egoisti amanti delle belle frasi ad effetto. È diffuso infatti il sentimento patriottico che sembra non avere più attenzione per gli altri, giacché tantomeno ne riceve. Un sentimento che raggiunge connotazioni di vero entusiasmo e sentita passione in ormai troppi casi. Un protagonismo egemone entrato di soppiatto nella nostra cultura, insinuandosi nelle nostre menti come i più “ingegnosi” e potenti virus informatici fanno con i cervelli elettronici. Quelli più esposti sono difatti coloro che guardano e sperimentano la vita attraverso uno schermo qualsiasi, ovvero prevalentemente i giovani, schermo-dotati ormai fin dalla nascita. È stato ed è, quello della gioventù, un mondo percorso attraverso evoluzioni mediatiche sempre più presenti ed efficaci e viceversa.

Continua…

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