Rapporto Istat: farmaceutica e “beni non durevoli” non conoscono crisi

Dal corposo rapporto Istat fresco di stampa arriva innanzi tutto l’ennesima conferma circa la drammatica situazione complessiva che comprende disoccupazione (Tavole 1.6 – 1.7 in fondo al post), diritti, potere d’acquisto delle famiglie (Tavola 1.8), salute e diseguaglianze sociali: rimane pressoché negativa e preoccupante (Tavole 1.1 – 1.2); ma quelli che seriamente sorprendono, e che dovrebbero esortare tutti a fare una riflessione più approfondita, sono i dati che riguardano l’import-export del settore farmaceutico (Figure 1.22 – 1.23).

Dai dati emerge che “i settori nei quali l’indicatore mostra i livelli più elevati sono computer e apparecchi elettronici e ottici (82 per cento), articoli farmaceutici (74,7 per cento) e mezzi di trasporto (67,8 per cento). A fronte di un incremento strutturale del grado di penetrazione delle importazioni, si rileva una crescita ancora più significativa della propensione a esportare (rapporto tra il valore delle esportazioni e il valore della produzione) per i prodotti manufatti, che sale dal 33,7 per cento nel 2008 ad oltre il 40 per cento nel 2013. Incrementi di questo indicatore toccano molti settori industriali rilevanti (Figura 1.23).
In particolare, la propensione a esportare è aumentata raggiungendo livelli molto elevati nei settori delle macchine e apparecchi (dal 62 al 77 per cento), dei prodotti farmaceutici (dal 49 al 74,3 per cento), dei mezzi di trasporto (da 57,7 a 72,9 per cento) e di tessile, abbigliamento, pelli e cuoio (da 40,8 a 48,8 per cento)”.

Nella stessa misura in cui aumenta la povertà diminuisce il potere d’acquisto, conseguentemente si riduce lo stato di benessere della popolazione quindi della sua salute. È un vero e proprio boom se osserviamo l’import-export del settore farmaceutico. In particolare aumenta significativamente la produzione e il consumo di farmaci ansiolitici, antidepressivi e tranquillanti. Sono sempre di più, infatti, gli italiani che, stressati e depressi, ricorrono all’aiuto degli psicofarmaci. Nel 2011 sono oltre undici milioni di persone che nel nostro Paese ne hanno fatto uso: 5 milioni hanno assunto tranquillanti e ansiolitici (il 12,8% della popolazione), delle quali più di 3 milioni sono donne. È ciò che emerge dallo studio Ipsad (Italian Population Survey on Alcohol and other Drugs) condotto dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Ifc-Cnr) di Pisa.

Da evidenziare come lo stato di salute diventa più allarmante nella fascia d’età che va dagli over 65 a salire, ovvero fra coloro che non riescono più a pagarsi le cure mediche, registrando così un drastico aumento delle disuguaglianze nel settore assistenziale. Si legge nel rapporto Istat che “nel 2012 sono aumentate le persone che dichiarano di stare male o molto male, la loro quota sul totale della popolazione si attesta al 7,7 per cento, circa un punto percentuale in più rispetto al 2005. Questa componente soggettiva della salute mostra delle differenze di genere: le donne che dichiarano di stare male o molto male sono complessivamente il 9,4 per cento contro il 5,8 per cento degli uomini, senza differenze rispetto al 2005. Oltre la metà della popolazione ultrasettantacinquenne soffre di patologie croniche gravi. Nella classe di età 65-69 anni e 75 e oltre, le donne che soffrono di almeno una cronicità grave rappresentano, rispettivamente, il 28 e il 51 per cento. Il diabete, i tumori, l’Alzheimer e le demenze senili sono le patologie che mostrano una dinamica in evidente crescita rispetto al passato. Gli uomini soffrono di almeno una cronicità grave nel 36 per cento dei casi, nella classe di età 65-69, e nel 57 per cento, tra quelli ultrasettantacinquenni (Tavola 4.2)”.
Si segnala inoltre come siano in aumento “le persone che soffrono di almeno una patologia cronica grave”, determinato da “un incremento della popolazione anziana esposta al rischio di ammalarsi (nel 2012 sono il 14,8 per cento della popolazione, con un aumento di 1,5
punti percentuali rispetto al 2005
)”. In particolare, “la cronicità grave aumenta, ma non con la stessa intensità sul territorio, nella classe di età 75 anni e più, gli incrementi maggiori si osservano nel Centro e nel Mezzogiorno, rispettivamente di 4,5 e 4 punti percentuali; nella classe di età 70-74 anni l’aumento è stato di 5,3 punti percentuali nel Nord-est e di 2,6 nel Mezzogiorno. Gli incrementi osservati acuiscono la distanza del Mezzogiorno dal resto del Paese, infatti nel 2005 la prevalenza di cronicità grave era pari al 53,7 e al 41,1 per cento nelle due classi di età più anziane, entrambe circa quattro punti percentuali in più rispetto alle altre ripartizioni. Nella classe di età 65-69 gli andamenti sono contrastanti: la prevalenza si registra in aumento di 2,5 punti percentuali nel Nord-est, sostanzialmente stabile al Centro e nel Mezzogiorno, in diminuzione nel Nord-ovest (-2,1 punti percentuali)”. Continua a preoccupare il tema delle disuguaglianze sociali nel settore sanitario. “Gli indicatori di cronicità e di sopravvivenza hanno, infatti, già messo in evidenza importanti divari di genere (Tavola 4.2 Il Sistema sanitario nazionale: un difficile equilibrio tra efficienza e qualità), e a questi si aggiungono quelli di natura economica. In particolare, le persone over65 con risorse economiche scarse o insufficienti, che dichiarano di stare male o molto male, sono nel 2012 il 30,2 per cento (28,6 per cento nel 2005) contro il 14,8 per cento di chi dichiara risorse ottime o adeguate (16,5 per cento nel 2005). In particolare, sono gli anziani del Sud il gruppo di popolazione più vulnerabile”.

È chiaro, dal rapporto Istat, che lo stato di salute della popolazione spinge ad indebitarsi per fronteggiare alle cure mediche, ma emerge anche come i “consumatori” siano propensi a contrarre debiti nel settore elettronico.

Resta ora da capire in che modo, e se, s’intende intervenire di fronte a dati così preoccupanti. Si farà finta di niente come s’è sempre fatto, quindi continuando a tagliare nella peggiore delle ipotesi o, nella meno peggio, a non rafforzare l’efficienza del nostro sistema Sanitario (vedi Tavola 4.3), oppure si deciderà (finalmente) d’intervenire con determinazione? La parola spetta al Governo. Quel che è certo è che non sono sufficienti i grandi titoli per riuscire a cambiare un Paese così disastrato. Staremo a vedere.

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