Storie di ex lavoratori

«Se si ha un lavoro che ci consente di avere una vita dignitosa, mentre la si vive non si fa caso al tempo, non si aspetta con ansia e frustrazione che qualcosa possa finalmente cambiare per poter migliorare la propria condizione, si è tutti presi dalla vita e non si fa attenzione ad altro. Io non so più cosa significa una vita così».
– Un ex operaio –

Il motivo di soddisfazione principale di una vita dignitosa è quello di poter far parte, o essere membro, del gruppo, della società, della comunità. Sentirsi utili, a se stessi e alla comunità, equivale ad avere una vita dignitosa, quindi utile a se stessi e agli altri. Non ci si sente e scartati, emarginati, espulsi dal contesto sociale in cui viviamo. Non esiste niente di più umiliante per un essere umano che sentirsi inutile alla società, che sentirsi emarginato. L’umiliazione non viene avvertita limitatamente nel cerchio familiare, ma si estende nelle complessità della della vita, nella loro totalità. Un essere umano, quando costretto a sopravvivere di stenti e a convivere con le umiliazioni quotidiane conseguenti all’emarginazione, perde i suoi equilibri, il suo “senso“, le sue ragioni di vita. Non accetta, intimamente, di essere ridotto a scarto della società, di essere abbandonato a se stesso senza possibilità di riscatto. Quando non riesce a procurare il pane per i suoi figli, per la propria famiglia, nasce e si radica in lui un sentimento di odio verso lo Stato, verso la società che non lo accoglie più. Un odio che ha origine dalla sopraffazione subita, dalla negazione o la soppressione del suo senso di appartenenza, che invece vorrebbe essere libero di esprimere.

Come può un uomo accettare simili umiliazioni? Come può guardare negli occhi i propri figli, pensare di poter dare loro protezione, esempio, giusta educazione, sani princìpi e valori, e rassicurarli dicendogli che va tutto bene, di non temere, che la vita è bella…? Dove può trovare un uomo simili risorse, se lui per primo non riesce a rassicurare se stesso? Gli esseri umani non sono tutti eroi, non hanno tutti a disposizione, indistintamente, un pozzo dal quale attingere speranze, forze, coraggio… Pensare con pretesa che ognuno di noi, senza appelli e dubbi, sia in grado di trovare dentro sé la forza adatta ad affrontare le complessità della vita, allo stesso modo di tutti, significa non conoscere minimamente la vita e le sue infinite sfaccettature. Significa essere mossi dall’arroganza, dalla presunzione, dall’egoismo, dalla saccenteria… Significa non conoscere affatto la vita, e arrogarsi un giudizio che non abbiamo il diritto di emettere, una conoscenza che non conosciamo e dimostriamo di non voler conoscere. Significa avere la presunzione di conoscere risposte a domande che nemmeno ci facciamo, che non “abbassiamo” a farci perché convinti di non averne bisogno. Siamo tutti capaci a piangere davanti una storia raccontata attraverso uno schermo, ma difficilmente dopo, cambiato canale, quella storia, quella rabbia e quelle lacrime ci faranno andare alla ricerca di risposte.

Farsi domande significa qualcosa di più che servirsi di risposte preconfezionate e pronte all’uso. Farsi domande significa confrontarsi, indagare, mettersi continuamente nei panni degli altri, nelle disgrazie e nelle vite degli altri, cercare di conoscerle, di scavare fino alla radice dei problemi che li affliggono e farli nostri.
Le domande non si esauriscono una volta che si è cambiato canale.

Se da una parte lo Stato non aiuta, dall’altra ci siamo noi, singoli di una comunità che non c’è più, completamente conniventi a questo menefreghismo.

Lasciati soli, da soli, non è per tutti facile trovare le forze, e in questo senso di abbandono, che soffoca come un braccio stretto attorno al collo, che schiaccia gli individui fin nell’animo, sfido chiunque a guardare i propri figli negli occhi, tutti con lo stesso coraggio, la stessa risolutezza, la stessa forza d’animo, la stessa eloquenza, e dir loro:
«Non ti preoccupare, ci sono io…»
E come, guardandoli negli occhi, si può avere tutti la stessa fiducia e speranza che anche loro, un giorno, avranno la possibilità di fare lo stesso con i loro figli, se mai ne avranno, mentre dentro, nell’animo, ci sentiamo annullati ogni giorno di più…?

L’ho sempre pensato: l’arroganza di sapere e l’ignoranza di non saper ascoltare, sono i peggiori difetti che un uomo possa avere.

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