L’industria dei consumi

Dovrebbe essere ovvio che tutta questa insistenza sulla necessità di smaltire gli oggetti, abbandonarli, liberarsene, invece che sull’appropriarsene, si adatta alla perfezione alla logica della nostra economia orientata al consumatore. Se la gente si tenesse stretti i vestiti, i computer, gli smartphone o i cosmetici di ieri sarebbe un disastro (e lo è) per un’economia la cui preoccupazione principale, la condizione della sua sopravvivenza, è destinare in tempi rapidi e sempre più serrati i prodotti al “consumatore”, che acquista e vende ormai vicino ai cassonetti della spazzatura; e in un’economia come questa, la velocità di smaltimento dei rifiuti è (dovrebbe essere) l’industria di punta. Ma non è così, quando a mettere le mani su questa sono corrotti e corruttori. La “Terra dei fuochi” è (dovrebbe essere) per noi emblematica; e anche se a prima vista potrebbe sembrare che nelle nostre coscienze tutto questo passi senza lasciare alcuna traccia, è in realtà quanto di più sbagliato si possa pensare: i rifiuti non sono soltanto le confezioni di ciò che acquistiamo e consumiamo; sono tutto ciò che prepotenza, avidità, egoismo e incoscienza fabbricano ogni volta che ci spingono ad oltrepassare i limiti del buon senso e del bene comune, perciò, inevitabilmente, inesorabilmente, sedimentano in noi, rendendo comportamenti illogici, irrazionali e impulsivi normali abitudini, inquinando la nostra coscienza e il nostro senso di appartenenza e di rispetto altrui; nonostante l’industria dello spettacolo e del divertimento si prodighi, ovviamente, per convincerci del contrario.

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